i buffoni - Luigi Albano

LUIGI
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Gli uomini e anche gli Dei, con rispetto parlando, impararono a ridere molto tempo prima che lo scienziato prussiano Hufeland si proponesse di mostrare che il riso facilita la digestione e potentemente contribuisce a far buon sangue e buona vita.

Anche in questo come in mille altre cose il fatto precorse alle regole e ai precetti teorici.

Si sa come venne al mondo il primo buffone. Un giorno, nei primi tempi dell'impero di Giove, il cielo era uggioso e triste; nelle beate sedi dell'Olimpo dominavano sovrani la noia e il silenzio.

Non v'era nessuno che divertisse gli Dei. Molto probabilmente Giove, in quell'aurora del suo regno, non aveva ancora completata la sua corte.

Vi mancavano specialmente Momo, Sileno, Polifemo e Pane, che in seguito seppero col loro spirito, colle danze licenziose e coi liberi motti di agreste sapore eccitare tanta ilarità nel petto degli immortali.

Da buon signore e capo di casa, Giove ne era impensierito. Finalmente guardando per caso in basso, vede in
quel tratto di territorio che è fra il Peneo e Aliacmone, una gran quantità di popolo gaio e festante tutto dedito al chiasso, alle danze e al canto.

« Se io rovesciassi d'un tratto sopra quei poveri diavoli un bell'acquazzone che me li mandasse tutti ben bene
immolati a casa, che divertimento per tutti questi miei colleghi che muoiono sbadigliando di noia ! » pensò fra sè Giove.

Detto fatto. Per rendere però lo scherzo più saporito, Giove fa preveidire da un prete — e si vedrà subito perchè — la folla che è imminente un temporale, il quale però non annacquerà se non gli sciocchi e i matti.

Ecco un primo lampo e un primo colpo di tuono, e poi subito giù l'acqua a catinelle. Tutti volevano vedere infracidati gli sciocchi e i matti, epperò nessuno s'era , come ben prevedeva Giove, messo in salvo, ad eccezione di un grave filosofo, che appena vide annunziato dal prete l'imminente temporale, si affrettò a tapparsi in casa, chiudendo con gran cura usci e finestre.

Cessato il temporale, e tornato il sole sull'orizzonte, il filosofo esce di casa tutto lucido, lindo e pulitissimo, ma quale fu la sua meraviglia vedendo che il popolo tutto era rimasto per le strade a prendersi la pioggia.

« Che matti ! » pensò fra sè. Ma la sua meraviglia dovette presto far luogo a un ben diverso sentimento, quando appena apparso sulla strada quei matti infradiciali fino alle ossa, gli furono addietro e attorno stordendolo col grido di: dalli al matto! e facendogli anche villani strazi agli abiti e alla persona.

Il filosofo capì subito la situazione e cosa gli rimaneva da fare. Fattasi quanta più potè forza a sè stesso, si rivolse alla folla, dicendo: — Spiritosissimi ciuchi, abbiate pazienza un sol minuto e vi proverò che non sono così matto come sembro. — Poi innalzando lo sguardo al cielo e allargando le palme: — Sapientissimo Giove! — esclamò : — padre degli sciocchi e dei sapienti, umilmente vi supplico di mandarmi adosso un diluvio per mio uso speciale e individuale: bagnatemi fino al midollo delle ossa come e quanto avete bagnato questi sciocchi, che sia matto anch'io come i miei vicini e viva in pace da matto in mezzo a matti!

Questa sortita del filosofo fece smascellare dalle risa tutti gli idioti che lo circondarono e tutti gli Dei dell'Olimpo, a cominciare da Giove e da Giunone.

L'implorato acquazzone venne; ma da essi il filosofo risorse più furbo, più spiritoso e più svelto d'ingegno che prima non fosse.  Egli capì la parte che doveva rappresentare; la sua bocca divenne una miniera di sarcasmi, di motti e di verità ingegnose; e così per volere degli sciocchi l'uomo più serio e più saggio del suo tempo, diventò il primo matto, il progenitore di tutti gli innumerevoli buffoni che dopo andarono in terra.

Tutta la sua discendenza somiglia al capo stipite della famiglia. Potete essere sicuri che il matto è sempre un uomo di spirito, svegliatissimo d'ingegno e alle volte audace e coraggioso sino all'eroismo.

Lo chiamano il matto, perchè si colloca quasi fuori della società e del suo tempo sbeffeggia i costumi, la moda, l'opinione corrente, e vede, rileva e colorisce con vivezza contrasti grotteschi e curiosissimi, ed ha la chiave di segreti rapporti che ai più sembrano evocati come per virtù magica.

Egli si chiama poeta, filosofo, parassita, aretalogo, scurra, morione e più tardi menestrello, giullare, buffone; ma sotto questi diversi nomi egli è sempre la stessa cosa, rappresenta al vivo gli artiflzii della natura, le stonature del pensiero, tutti i controsensi della ragione, tutte le storture che l'uomo fa subire alla natura, infine tutte le fasi della pazzia umana.

E talvolta egli rappresenta tutte queste cose riprodotte nella sua stessa persona, perocché il matto è talvolta il buffone di sè stesso, come lo sono un poco tutti gli uomini.

Si soleva dire una volta: tutti gli uomini sono matti, "Quando io voglio vedere in faccia un matto, — scrive modestamente Seneca, — non devo durare molta fatica; mi basta guardare in uno speccchio".

Rodio, un medico di Marburgo aveva espresso in modo anche più energico lo stesso pensiero col mettere sul frontispizio della sua casa il ritratto di tutti i legali e i dottori della città, ed egli stesso in mezzo a tutti, vestiti da buffoni di professione.

Egli era un po' dell'opinione di Schuppius di Hamburgo, il quale soleva dire che in questo mondo il numero dei matti è superiore a quello degli uomini.

E lo stesso pensava pure Massimiliano II. Questo monarca ebbe un giorno un capriccio — quello di Caligola, dando ad uno de' suoi consiglieri il titolo di Re dei matti. Però un giorno ch'egli designò con questo titolo un distinto scrittore in prosa, questi con molto spirito gli soggiunse: — Vorrei essere il Re dei mattii, perocché io avrei un regno veramente glorioso. Vostra maestà imperiale sarebbe il primo de' miei sudditi.

Ma non allontaniamoci dai buffoni della leggenda e dell'antichità che hanno tratti che li contraddistinguono d'assai da quelli di un'epoca posteriore.

La storia pone accanto a Alessandro Macedone, a Nicrocreone di Salamina, a Nearco e allo stesso Dionigi di Siracusa, dei buffoni-filosofi, che invece di distrarre piacevolmente coll'umor libero e faceto i loro padroni, sembra che si proponessero per fine di mettere in rilievo la caducità di ogni grandezza e l'inanità di tutte le ambizioni mondane. "Che questa ferita vi faccia ben penetrare nella mente che non siete che un uomo, non già un Dio, come il popolo vi crede e voi vi immaginate di essere" disse un giorno il filosofo Anassarco ad Alessandro ferito.

E lo stesso Anassarco, in risposta a Nearco che aveva minacciato di farlo pestare in un mortaio, non ebbe egli il coraggio di mordersi a taglio la lingua e sputargliela in faccia? Zenone, più furbo e meno crudele di Anassarco verso sè stesso, venuto in sospetto e in uggia allo stesso Nearco, fingendo di volergli rivelare qualche segreto all'orecchio, gli recise colla sua eccellente denta tura un orecchio.

Un altro buffone, il poeta Antisone alla domanda: « Qual'è il miglior bronzo? » che Dionigi Siracusano gli aveva rivolta, ebbe il coraggio di rispondere : « Quello di cui sono fabbricate le statue di Armodio e di Aristogitone. »

E così di molti altri filosofi dell'antichità, i quali si mostrarono in generale di finissimo e indipendente animo verso i potenti loro padroni.

Fra essi non vuole essere sere dimenticato Democare, ambasciatore degli Ateniesi, al quale Filippo macedone che gli aveva chiesto qualcosa gradita poteva egli fare per i suoi compatriotti , rispose: « Il meglio che potreste fare sarebbe di impiccarvi. »

Al buffone venne in tutti i tempi lasciata liberissima facoltà di parola, di giudizi e di critica, non limitata questa facoltà che in rari casi dal capriccio crudele e irresistibile di qualche despota, come ai giorni nostri, anche nei paesi dov'è più libera la stampa può essa per ragioni specialissime venir frenata.

Il compito del buffone non potrebbe neanche concepirsi senza que la assoluta libertà.

I patrizi romani, specialmente quelli di spirito ottuso, solevano avere i buffoni in casa, che erano generalmente schiavi greci e si gloriavano come di cosa loro propria dei loro motti e frizzi che divertivano essi e la brigata.

Famosi buffoni di professione erano i parassiti che avevano per abitudine la facoltà di presentarsi non invitati
al banchetto dei signori, e che per questo Plauto designa col nome di Mosche.

Essi però avevano l'obbligo di divertire coi loro lazzi e col loro spirito la società nella quale si intromettevano, chè, se no, piovevano su di loro fischi, insulti e persino busse.

Senofonte nel racconto ch'egli ci fa del banchetto di Callia, ci dà una chiara idea della psrsona e dei meriti di questa varietà di buffone di mestiere.

Filippo è il nome del suo buffone, costui, quando i signori sono a tavola, batte alla porta e dice senz'altro al servo che gli apre: « Eccomi qua. Non occorre che i signori si incomodino ad invitarmi, il mio cavallo è stanco di camminare, ha lo stomaco vuoto; di me non vi parlo, che non posso più stare in piedi, dalla stanchezza e dalla fame » e quindi sforzando il passo, sorridendo esclama: « Voi tutti, signori miei, conoscete me e i miei privilegi professionali. Venni qua non invitato, specialmente perchè ho una decisa avversione per le cerimonie e voglio evitarvi il disturbo di un invito formale. »

Il padrone di casa, Callia, accoglie il giocondo ospite felice di far seguire alle conversazioni serie e gravi dei suoi ospiti l'allegra battaglia dei frizzi e delle facezie buffonesche.

Volete avere un'idea dello spirito di questo buffone? Si discorre di una saltatrice famosa che danza nel circo di Atene sopra un suolo tutto irto di coltelli dalle lame affllatissime, e dopo questo altri mette sul tappeto la viva questione della pace e della guerra che anima i politici ateniesi.

Eccoti il buffone Filippo che non si lascia sfuggire l'occasione di dare una staffilata al cittadino Pisandro famosissimo consigliere di pace, dicendo: Che piacere avrei vedendo questo grave consigliere ateniese prender lezione da quella danzatrice del circo; egli che trema di paura alla vista di una lancia, e dice continuamente che è un crudele e barbaro costume quello di far la guerra e di ammazzar uomini!

Molti scrittori antichi e moderni affermano che Socrate univa nella sua persona il filosofo e il buffone. La sua bruttezza, la deformità e rustichezza della sua persona, i suoi scherzi fanciulleschi, la sua mania della danza e quel ridere che faceva ad ogni minima cosa, e tutto questo e molte altre sue stranezze furono avanzate come tante ragioni per collocarlo fra i giullari, e Zenone, stando a quel che dice Cicerone, chiama Socrate « il buffone ateniese, » con che credeva probabilmente di fargli un complimento.

E Alcibiade dice che Socrate somiglia alle immagini di Sileno solite a riempirsi di piccole statuette degli Dei.

Fra i buffoni antichi alcuni collocarono anche gli Aretalogi, che pare fossero improvvisatori di storie allegre e meravigliose affine di distrarre certe brigate da cui erano invita.

Svetonio nel LXXIV capitolo della vita di Augusto, dopo di avere descritte le gioconde costumanze di questo imperatore, il suo corteggio di buon temponi e i modi affabili e cortesi ch'egli con loro usava, aggiunge che a meglio incoraggiare il loro giocondo umore e la loro libertà, ant acroamata et histriones, ant etiam triviales ex circo ludios interponebat, ac frequentius aretalogos.

Chi volesse sapere il valore di quest'ultima parola può rivolgersi ad una vecchia traduzione di Svetonio, nella quale quel passo viene così interpretato: " Augusto soleva invitare a scopo di distrazione alla sua tavola, o comici, o allegri raccontatori di storie, o anche saltimbanchi comuni, ma più frequentemente dei gonfi e pettoruti pedagoghi e sostenitori di paradossi. "

Poi vuole essere notata un'altra specie di buffoni, lo scurra, parola che alcuni lessicografi derivano dal latino sequi, seguire, dalla consuetudine che avevano di tener dietro agli altri nel corteggio degli alti personaggi.

Stando a Plauto, però, lo scurra precede tutti gli altri, come si ha da quelle parole di Collibisco: faciunt scurrae quod consueruni: pene sese homines locant, e ciò è certo più conforme allo stile dei buffoni, che è di preporsi da insolenti come sogliono generalmente essere a tutti gli altri.

Gli scurra avevano uno spirito vivo e tagliente, però non senza finezza; e quanto ai loro motti scurrili erano più un merito che altro in quei tempi, se i nemici di Cicerone lo chiamarono lo scurra consolare non era già perchè trovassero grossolani i suoi sarcasmi, ma perchè erano pungentissimi e colpivano sempre giusto.

Fedra chiama scurra il buffone dei mercati che cerca l'applauso col grugnire come i maiali.

Probabilmente questo scurra era di ultimissimo grado, perocché egli stesso annunzia che il suo trattenimento non si è mai prima veduto.

Però anche il migliore degli scurra sembra che giustifichi piuttosto le censure di Genitore che gli elogi di Orazio. Quest'ultimo nella suo famosa escursione a Brindisi, assistette, come egli stesso ci racconta, ad una battaglia di lazzi fra Sarmento, vecchio schiavo fattosi scurra, e Cicerro, rinomato parassita.

Orazio asserisce che lui e la sua brigata furono indotti a prolungare la cena dallo spirito di questi due buffoni, pure questo spirito si riduce a ben poca cosa. Lo scurra non ha che grossolani motteggi sulla deformità e la miseria di corpo del parassita, mentre quest'ultimo non sa far altro che rimproverare allo scurra la sua condizione di schiavo e la ridicolezza delle sue forme fisiche.

Se Sarmento faceva la « delizia » di Cesare Augusto, bisogna dire che ci volesse poco a divertire questo monarca. Nessuno è mai stato più di Silla appassionato e generoso patrono degli scurra e di altra simili persone anche più basse.

Come a' nostri tempi, e come del resto s'è sempre usato, è facile vedere chi si rovina per cantatrici e ballerine, così Silla sciupò la sua colossale fortuna a mantenere buffoni di ogni qualità, alcuni dei quali sudici e schifosi.

Non è giusto però il rimprovero che muove Flogel a Silla, nella sua storia dei bulloni di corte, di avere trascurato gli affari pubblici per questa sua manìa di farsi accompagnare in casa e fuori da intere legioni di giullari e di parasiti, non essendosi egli dato a tal genere di vita se non dopo deposta la dittatura e ritiratosi a Pozzuoli.

Non si finirebbe più se si volesse seguire i buffoni nelle corti degli imperatori romani, i quaali amavano mostrarsi spesse volte buffoni essi stessi.

Esempio: Antonio, Nerone, Commodo, Antonino ed altri molti.

Chi volesse fare una storia dei buffoni di corte non dovrebbe dimenticare i così detti Moriones e i Nani.

I primi erano dei semplicioni, stupidi di mente, ma poderosi di corpo, ed è appunto da questo contrasto che eccitavano ancora qualche ilarità nei corrotti romani, quando non avevano più gusto per altri contrasti di più squisita e delicata natura.

Lo stesso era dei Nani, le cui fisiche deformità continuarono ad essere un oggetto di distrazione e di scherzi nelle corti anche in epoche di molto posteriori.

Però il buffone veramente titolato di corte non appare che nel basso impero, è certo che Attila portò con sè dal fondo della Scizia non solo dei guerrieri irresistibili, ma anche dei buffoni di mestiere, che avevano posto e titolo alla sua corte, quantunque le loro buffonerie non riuscissero mai a richiamare il sorriso sul suo volto severo.

Questa storia dei buffoni nel mondo è più seria e importante che non si creda e non a torto occupò lungo tempo Erasmo.

Un vecchio proverbio citato da Seneca dice che " colui, il quale vuol fare ogni cosa che gli passa per la mente deve essere nato re o buffone "

In questo il re e il buffone si somigliano e sono forse eguali in felicità, in quanto nessuno dei due è ritenuto essere responsabile, il re per le cose fatte e il buffone per le cose dette.

di G. Bogliotti, 1887

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