La dottrina di Gesù Cristo - Luigi Albano

LUIGI
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La dottrina di Gesù Cristo ci è stata trasmessa fedelmente?

Il cristianesimo è presentato dai suoi seguaci come una dottrina rivelata agli uomini da Gesù, l'uomo-Dio. Per stabilire la verità di questa dottrina non basta però il provare che Gesù ha giustificata la sua celeste missione, ma conviene anche dimostrare che la rivelazione portante il suo nome emana veramente da lui.

È un fatto strano che Gesù abbia lasciato nulla di scritto. Gli inventori di sistemi, i capiscuola delle sette filosofiche, i legislatori, quasi tutti hanno creduto necessario di trasmettere da se stessi le loro idee alla posterità, senza affidare ad alcuno questa bisogna, per timore che mani estranee, nel riprodurre la loro dottrina, non ne afferrassero nettamente e fedelmente il concetto; e difatti niuno è così competente ad esporre un sistema, come colui che lo ha elaborato. Trascurando questa precauzione, Gesù s'è mostrato inferiore in ciò ai saggi dell'antichità; il Messia ha mancato di prudenza umana.

Se Gesù non ha stimato opportuno di prender in mano la penna, si è poi almeno assicurato della fedeltà degl'interpreti dati alla sua dottrina? Tanto gli Evangeli che la tradizione non fanno cenno d'alcuna premura ch'egli si sia data per questo scopo.

Gesù non incaricò alcuno di raccogliere i suoi discorsi; egli non dettò mai i suoi comandamenti, ma le lezioni sue diede sempre a viva voce, senza che chicchessia ne abbia mai presi gli appunti; le sue parole sono dunque unicamente affidate alla memoria de' suoi uditori. Certamente, se un filosofo che avesse scoperto un sistema da cui dipenda la felicità del genere umano, si limitasse ad esporlo ad individui affatto ignoranti ed inetti a comprenderlo, ed alla loro incerta memoria lasciasse la cura di farlo conoscere ai posteri, niuno vi sarebbe, che non gli facesse rimprovero di tanta imprevidenza; e se le relazioni di questi uditori, colla loro confusione, contradizione ed oscurità, fossero la fonte di dispute interminabili, di divisioni, di guerre sanguinose, chi non deplorerebbe amaramente l'incuria di colui, che invece di esporre da sè le sue idee con chiarezza e precisione, e di tramandare così, senza tema d'alterazione, alle generazioni future il tesoro della sua sapienza, avesse lasciato a gente inetta questa cura così importante? Chi non lo terrebbe responsabile tanto del bene che non avrebbe fatto, quanto del male di cui sarebbe stato la causa?

Gli Evangelisti hanno la pretesa di riprodurre i discorsi di Gesù. Ma quale garanzia ci offrono eglino della fedeltà loro? Avvertiamo innanzi tutto, che tre di loro hanno scritto in una lingua differente da quella in cui Gesù parlava. Insegna la tradizione che Matteo solo ha scritto in ebraico volgare; ma l'originale del suo libro è andato smarrito, sicchè non ci è dato di verificare l'esattezza della traduzione greca che noi possediamo, se pure questa è una traduzione – In quanto agli altri tre evangeli, è ammesso comunemente ch'essi sono stati scritti in greco. Ora, quando si vuol riprodurre un discorso in una lingua diversa da quella nella quale si è sentito pronunciare, si va incontro al pericolo di non poter esprimere fedelmente le idee dell'oratore; ed anche, supposto che lo scrittore conoscesse a perfezione le due lingue (il che non sussiste in questo caso) non di rado gli sarebbe impossibile di riprodurre con una rigorosa fedeltà il discorso originale, avvegnachè un traduttore ci offra sempre la sua propria opera, e non un'opera di primo getto.

Quindi, i lettori, non avendo alcun mezzo di riconoscere la fedeltà della sua versione, perchè non la possono confrontare col testo, che non è stato a loro trasmesso, avranno sempre il diritto di revocare in dubbio l'esattezza di tale lavoro.

La traduzione è stata letterale, o libera, e fino a quel punto ha creduto lo scrittore di potersi allontanare dalla lettera? non ha egli per avventura sfigurate le idee dell'oratore con aggiunte od espressioni improprie? A cotali domande nessuno ha mai saputo rispondere. Relativamente poi ai discorsi di Gesù, la perdita del testo originale è tanto più deplorevole, in quanto che vi sono delle parole, le quali nella dottrina assumono una importanza capitale, e che tuttavia non sono accompagnate da alcuna definizione o spiegazione, come sarebbero chiesa, battesimo, figlio dell'uomo, figlio di Dio, regno di Dio, e via discorrendo; e siccome non si sono conservate le parole testuali di Gesù, non possiamo sapere se queste non offrissero per avventura un senso diverso da quello delle parole
dateci come equivalenti dai traduttori.

Chi può sapere, se i discorsi in cui si crede di trovare l'istituzione dell'Eucaristia (S 11, art. IV.) e del potere della chiesa (S 2), discorsi per sventura così ripieni d'incertezze e d'equivoci, non avessero in origine un significato affatto diverso da quello dei nostri testi attuali? In tali materie la più leggiera infedeltà grammaticale può essere capitalissima; avvegnachè se in altri argomenti si può star paghi di una certa approssimazione, in fatto di dommi, la cosa è assai diversa, allora avendo ogni espressione un senso rigoroso, ed ogni inesattezza potendo, anche contro l'intenzione dei traduttori, sfigurare il pensiero dell'autore.

La perdita irreparabile delle parole originali toglie qualunque possibilità di conoscerne con certezza il vero senso; la Chiesa non può dunque asserire di possedere la dottrina di Gesù; tutt'al più essa l'avrà con un'approssimazione più o meno difettosa, il che però non basta per esigere quella sommessione che è dovuta alla sola parola autentica del Messia.

Il sistema ortodosso dunque, il qual pone la rivelazione divina in bocca a Gesù, espone la Provvidenza al rimprovero d'aver lasciato perire il testo degli oracoli da lui pronunciati. Ma anche non contando questa difficoltà intorno alla scelta dell'idioma, siamo noi sicuri che la memoria degli autori abbia potuto conservare fedelmente gli insegnamenti ricevuti dal maestro?

Parrebbe che i discepoli di Gesù, i quali, lui vivente, avevano avuto il grave torto, non solo di non trascrivere i suoi discorsi, ma neppure di fare giornalmente delle note di ciò ch'ascoltavano, avrebbero dovuto, subito dopo la sua morte, riunirsi fra loro per raccogliere e porre in iscritto ogni cosa che rammentavano d'aver veduta ed udita; e siccome gli avvenimenti erano recentissimi, e le impressioni, ancora vergini, così poteva credersi che allora li avvenimenti e le lezioni del maestro non avrebbero potuto alterarsi per la sovrapposizione di idee estranee; la onde forse sarebbe riuscito ad essi agevole il redigere una storia esatta della vita di Gesù; concorrendo poi tutti in questo lavoro, avrebbero avuto maggiore probabilità di farlo meglio, che non occupandosi ciascuno per conto proprio.

Invece non sembra che gli apostoli avessero la più piccola idea della necessità della parola scritta; e noi li vediamo trasmettere la loro dottrina a viva voce, come si scorge nel libro degli Atti degli apostoli; poichè la credenza di una prossima palingenesi che doveva accadere prima della morte di molti fra loro (S 6) faceva considerare l'avvenire terreno dell'umanità siccome limitato al lasso di alcuni anni. In questa persuasione, a che buono fare dei libri? Non essendo d'uopo di lavorare per una posterità che non sarebbe esistita, non occorreva pensare che ai contemporanei, pei quali la testimonianza orale era più che suffificiente.

Più tardi si sentì il bisogno di scrivere. L'autenticità dei quattro evangeli è a ragione molto confessata; noi ora discutiamo nell'ipotesi che questa autenticità sia ammessa. I rimproveri che furono mossi a Marco ed a Luca, riguardo alla poca fiducia che meritano le loro narrazioni, devono qui rinnovarsi a più forte ragione per le loro relazioni dei discorsi di Gesù.

Essi non l'hanno mai conosciuto, e ci trasmettono le sue parole sulla fede altrui. Luca le riferisce secondo Paolo, il quale non era stato neppure discepolo di Gesù; quindi la sua testimonianza dev'essere ricusata perentoriamente, per non aver attinto ad una sorgente sicura i documenti che ci ha lasciati. Anche Marco, che dicesi essere discepolo di Pietro, si giovò di un intermediario per avere conoscenza degli insegnamenti di Gesù; ma è egli mai possibile che Pietro, dopo un tempo considerevole, scorso eziandio dopo la morte del suo maestro, abbia potuto ritenere per filo e per segno e con tutte e singole le parole i suoi discorsi abbastanza lunghi, e ripeterli testualmente a Marco, il quale più tardi li avrebbe poi riprodotti in iscritto senza molto cangiarvi?

E possibile che la memoria di questi due uomini, durante lunghi anni abbia potuto conservare questo deposito intatto, e che nessuna alterazione non si sia intromessa nel testo in tal modo tramandatoci? Veramente la è una cosa un po' difficile a credersi.

Matteo e Giovanni, discepoli immediati di Gesù, avrebbero almeno scritto senza intermediari. Matteo si è deciso a scrivere molti anni dopo la morte di Gesù, e gli autori ecclesiastici variano fra otto e ventotto anni d'intervallo. In questo frattempo, molti avvenimenti avranno potuto modificare le idee dell'autore. S'immagini un uomo che cerchi di rammentarsi alcuni discorsi metafisici ed enimmatici, che ha udito pronunciare parecchi anni prima, i quali pur confessa di non avere allor compresi; qual difficultà non incontrerà egli per riprodurne esattamente il testo? Senza neppure avvedersene, egli mescolerà le proprie idee con quelle del maestro, la cui parola vorrebbe far rivivere; le riflessioni sopraggiunte in quest'intervallo avranno maturato il suo giudizio, e gli faranno vedere le cose sotto un aspetto ben differente: ritenendo di aver trovato il vero senso del discorso del suo maestro, userà le espressioni che meglio possano far risultare questo senso; insomma si indurrà inevitabilmente a far parlare il suo eroe secondo il suo modo attuale di giudicare e di sentire.

Ciò che abbiamo detto di Matteo, a miglior ragione s'applica a Giovanni, il quale, secondo la opinione della Chiesa, ha composto il suo Evangelo in età decrepita, nel 96, cioè sessantatre anni dopo la morte di Gesù. Si può mai concepire un vecchio quasi centenario, a cui l'età deve per necessità aver fiaccata l'intelligenza, o almeno appannata la memoria, imprendere a rintracciare parola per parola certi lunghi discorsi sentiti ottant' anni prima?

Chi non riderebbe dell'ingenuità di coloro che credessero possibile un tale sforzo di memoria e che, sulla sola testimonianza di questo vecchio, pretendessero di possedere il testo letterale di quei discorsi? .... Aggiungiamo che Giovanni era un pescatore galileo senza istruzione (Att. Ap. IV, 13), e che al certo ignorava la lingua greca quando era uditore di Gesù; se l'ha appresa in età avanzata, è dubbio che l'abbia mai posseduta perfettamente, motivo per cui dovette commettere errori numerosi trascrivendo in greco i discorsi, che aveva inteso pronunciare in ebraico.

Quello che gli evangeli ci apprendono in riguardo agli apostoli, ci fa conoscere eziandio l'impossibilità in che erano di fedelmente riassumere gli insegnamenti di Gesù. La loro corta intelligenza non può quasi mai concepire le idee del maestro; persino le più chiare parabole, come quella del grano seminato su diversi terreni, non possono essere intese da loro senza minute spiegazioni (Matt. XIII); prendono sovente nel senso letterale le espressioni figurate, e cadono di continuo in errori grossolani (Giov. IV, 32-34; Matt. XV, 15, e XVI, 6, 7; ecc.); la loro lunga abitudine d'ascoltare Gesù non ha valso a renderli famigliari col suo stile e colle sue idee. Anche dopo la sua morte sembra ch'essi abbiano compreso molto imperfettemente la dottrina di lui.

Ricusano di credere alla sua resurrezione (Marc. XVI, ll; Luc. XXIV, ll). Dopo molti anni sono ancora indecisi intorno alla vocazione dei gentili, ed alla conservazione od abrogazione della legge di Mosè (SS 8 e 9), e Pietro non risolve questo punto di dottrina prima di ottenere nuove rivelazioni (Att. Ap., X.), tanto era confusa l'impressione lasciata nel loro spirito dalle parole di Gesù.

Fu riserbato ad un nuovo discepolo straniero a Gesù, a Paolo, di reggere con mano ferma il timone della vacillante navicella della Chiesa, di dirigere gli apostoli (Gal. II), ed imporre loro le proprie idee intorno al domma cristiano. Gli apostoli non erano dunque capaci di esporre chiaramente una dottrina che non avevano compresa, e che, non appena surta, si completava fuori di loro. L'esame estrinseco delle condizioni in cui furono composti gli Evangeli è dunque ben lungi dall'essere loro favorevole sotto il rapporto della riproduzione esatta delle idee di Gesù.

L'esame intrinseco del contenuto degli Evangeli conduce poi alla stessa conclusione, come ben lo prova Strauss (Vita di Gesù, SS 74 a 81). Supponiamo che in un grande processo, continuato pel corso di lunghi secoli, il quale interessi in sommo grado la sorte d'una moltitudine di persone, una delle parti contendenti alleghi in favore delle sue pretese la decisione pronunciata sulla questione litigiosa da un illustre giureconsulto. La difficultà consiste dunque nel procurarsi esattamente e testualmente la sentenza di questo giureconsulto, che, per sventura, non ha creduto ben fatto di dettarla in iscritto. Si produce la testimonianza scritta di quattro persone, che pretendono di aver raccolta fedelmente questa sentenza. Ma, lasciando da parte che l'autenticità delle opere di questi quattro discepoli è grandemente sospetta, l'uno di essi ha redatto il suo libro sulla testimonianza di un individuo che non ha, nè veduto, nè udito pur una sola volta il maestro; un secondo non l'ha conosciuto direttameate, ma benchè egli non dica ove abbia attinte le sue notizie, corre la voce che sia stato informato da uno dei discepoli immediati. Questi due scrittori non essendo stati guidati che dai « si dice » non meritano il nome di testimoni, e saranno senz'altro respinti.

In quanto agli altri due, essi non hanno scritto che lunga pezza dopo la morte del maestro, e secondo le loro rimembranze. I loro racconti si contraddicono, formicolano d'inverosimiglianze, e, più che quella del maestro, lasciano sovente apparire la persona di chi scrive. Essi fanno parlare il maestro in maniera assai differente, tanto nella forma che nella sostanza, e confessano inoltre di non aver compreso il più delle volte le sue parole. Come sarà allora possibile di credere ch'essi avranno potuto, al termine d'un tempo assai lungo, riprodurre esattamente discorsi, da cui anche in origine non avevano potuto pigliare altro che una nozione vaga ed incompleta? Come assicurarsi che non abbiano alterata la sua dottrina? Che farà il giudice di questi documenti? A lui è necessario il testo, puro e senza interpolazioni, della decisione che si pretende essere stata emessa. Potrà egli affermare di possedere in tutta la loro integrità i discorsi del giureconsulto, e prenderà a base del suo giudizio le parole che gli si attribuiscono?

No: egli non potrà in coscienza ammettere gli elementi incompleti che gli sono stati presentati, e dovrà rigettare il ricorso per mancanza di prove. Volendo anche supporre, che si possa ammettere l'autenticità dei discorsi messi in bocca a Gesù dagli Evangelisti, rimane sempre ad esaminare se questi discorsi racchiudono la dottrina che porta il suo nome.

Se Dio si degnasse una buona volta di parlare agli uomini, il suo linguaggio dovrebbe essere tanto chiaro da cattivare immediatamente la loro ragione, attalchè la sua parola accettata dal genere umano quale un'autorità irrecusabile, servirebbe di regola costante; ogni discussione sui punti risoluti sarebbe superflua; e siccome un oracolo di questa fatta non può comportare nè oscurità nè equivoco, così egli avrebbe indicato perentoriamente tutto ciò che importa all'uomo di conoscere per la sua felicità.

Al contrario, giammai il mondo è stato così posto in iscompiglio dalle questioni religiose, quanto lo fu dopo l'apparizione del cristianesimo, al quale si deve la bella gloria d'aver fatto conoscere e sperimentare un flagello sconosciuto ai popoli antichi, la guerra di religione, realizzando così le funeste parole del suo fondatore: Io non sono venuto a portare la pace, ma la guerra (Luc. XII, 15).

Non basta forse questo solo risultato per dimostrare che il cristianesimo non può essere divino? Un Dio avrebbe egli lasciato al suo linguaggio un'ambiguità così feconda di disastri? Sarebbe egli rimasto al disotto dei vulgari legislatori, i quali almeno fanno opera per prevenire, nella redazione delle leggi, qualunque caso di difficultà, e qualunque falsa interpretazione? La Chiesa ci insegna, che le eresie sono antiche quanto il cristianesimo, e che i Simoniti, gli Ebioniti, i Cerintii, i Gnostici, erano contemporanei degli apostoli.

Il rivelatore si era dato così poco pensiero di assicurare l'unità della dottrina presso i suoi discepoli, che tosto dopo la sua morte essi si divisero in una quantità di sette, le quali invocando l'autorità della sua parola, e ciascuna dicendosi la sola depositaria della vera fede, disputarono violentemente, si scomunicarono a vicenda, ed iniziarono questa lotta diuturna e sanguinosa, che dura tuttora, e che non comincia
a calmarsi se non in grazia del moderno progresso dell'umana ragione.

Gli evangeli racchiudono forse un significato cosi chiaro ed evidente, che ogni uomo dotato di buonsenso e di buona fede li debba uniformemente tenere quale sicura regola delle sue credenze e delle sue azioni? È questo il problema che ci siamo proposti di risolvere prendendo in esame le diverse parti del cristianesimo, e ricercandone la conformità con le parole attribuite a Gesù.

Benchè manteniamo sempre le nostre riserve sull'autenticità di queste parole, facciamo osservare innanzi tratto che, in questa ricerca, non si deve dare un carattere d'autorità fuorche ai soli discorsi attributi dagli evangelisti a Gesù; i discorsi di altri personaggi e le riflessioni dei narratori non possono avere lo stesso valore della parola del rivelatore.

Neppure gli apostoli hanno ricevuto il privilegio dell'infallibilità, e nulla ci garantisce che le loro opinioni personali siano sempre in armonia cogl'insegnamenti del maestro. Il libro degli Atti degli Apostoli e le epistole apostoliche devono essere posti in una classe anche inferiore, perchè Gesù vi fu straniero. Finalmente le epistole di Paolo, che non ha neppur conosciuto Gesù, non possono servirci per nulla a stabilire quale sia stata la dottrina del maestro.

Tuttavia, ci gioveremo di tutti questi documenti, raccomandando pur sempre di non dimenticare la precedente distinzione... continua...

A.S. Morin, 1872 (trascrizione in ortografia originale)

leggi dello stesso autore: Il Battesimo
© Luigi Albano
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