Gli Accadi - Note di Assiriologia - Luigi Albano

LUIGI
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GLI ACCADI
NOTE DI ASSIRIOLOGIA
Capitolo V
La divinazione e la magìa nel mondo accadico-assiro erano d'un'importanza eguale a quella della religione, vi avevano un'esistenza riconosciuta; e quindi una parte considerevole del culto si componeva d'incantesimi contro gli spiriti maligni, ai quali s'attribuiva l'origine di tutte le malattie, e contro la potenza dei sortilegi.

Tra i frammenti dei testi della famosa biblioteca di Assurbanipal, alcuni dei più importanti sono quelli di un'opera, che sembra essere stata il testo fondamentale e classico per eccellenza in materie astrologiche, e nel quale v'era un'esposizione completa dei presagi tirati dalle posizioni, dalle apparenze e dai movimenti dei corpi celesti e delle nuvole, e da tutti i fenomeni meteorici.

I due esemplari di quest'opera, come si rileva da una frase ripetutavi parecchie volte, erano stati redatti per opera di Sarkin I (verso il 2000), e prima che lo Stato assiro fosse costituito, perchè non si trova mai menzionato fra le contrade straniere, alle quali si fanno degli auguri.
Tutti i popoli primitivi, per una disposizione naturale allo spirito umano, hanno prestato un'attenzione inquieta ai prodigi, ai fatti straordinari che si producevano nella natura, e parevano deviare dal suo ordine abituale; hanno attribuito un carattere funesto a queste singolarità inattese; sono stati indotti a scorgervi degli avvertimenti e dei segni di corruccio d'una potenza misteriosa, che governa l'universo: quindi dappertutto una scienza, più o meno sviluppata, dei presagi e delle divinazioni, di cui alcuni individui pretendevano essere i depositari. E la preoccupazione astrologica nata subito presso gli Accadi, grandi contemplatori del cielo, delle meraviglie dell'armonia siderale, e della parte attiva del sole nei fenomeni della vegetazione, faceva attribuir loro nella natura tutto agli astri, e al più splendente fra di essi, e subordinare così i sentimenti religiosi alle preoccupazioni astrologiche. E così che tutta la vita dei Babilonesi e degli Assiri, che avevano preso da loro queste idee, e tutti i loro atti pubblici e privati, dipesero dagli auguri tirati dagli astri, come non ne dipese mai la vita di nessun altro popolo.

Per farsi un' idea generale della magìa scongiuratoria dei Caldei, dei suoi processi e delle sue applicazioni basta leggere, col commento del Lenormant, il curioso documento accadico, che il Rawlinson e il Norris hanno pubblicato, e che contiene una grande tavola proveniente dal palazzo reale di Ninive, sulla quale sono incise ventotto formole d'incantesimo deprecativo contro l'azione dei cattivi spiriti, gli effetti dei sortilegi, le malattie e le principali disgrazie, che possono colpire l'uomo nel corso della sua vita ordinaria: e l'altro documento pubblicato nel IV volume della stessa collezione, che contiene un'opera completa di magìa, e della quale gli scribi di Assurbanipal avevano redatto parecchie copie sull'esemplare esistente fin dalla più remota antichità nella biblioteca della famosa scuola sacerdotale di Erech. Quest'opera era divisa in tre libri, dei quali, il primo conteneva le formole di scongiuro e d'imprecazione destinate a repellere i demoni e gli altri spiriti maligni; il secondo gl'incantesimi, ai quali s'attribuiva la virtù di guarire diverse malattie; e il terzo, inni ad alcuni dei, dal canto dei quali si attendevano degli effetti soprannaturali, e che hanno un carattere differente dagl'inni liturgici della religione ufficiale, che son giunti sino a noi.

Questi due principali documenti e altri frammenti non contengono che le formole d'incantesimi della magìa divina, dell'arte scongiuratoria e propizia; mentre la magìa diabolica e maligna ne è esclusa con orrore, e le sue pratiche energicamente riprovate.

Essa ci appare quindi come la sistemazione più dotta della vecchia magìa dei primi tempi fondata sulla credenza degli spiriti della natura; mentre la magìa egiziana è una teurgia nata dalle dottrine d'una filosofia teologica già raffinata, basata sullo sviluppo dei miti osirici, priva di quelle concezioni demonologiche, così caratteristiche della magìa accadica, e senza traccia di spiriti elementari.

La magìa ebbe un grande incremento nella Mesopotamia, dove i sacerdoti caldei, che la praticavano, erano stabiliti in tutto il paese, sebbene avessero i loro collegi solo in alcuni luoghi speciali e principalmente a Borsippa, a Ur, a Babilonia e a Sippara. Sotto la dominazione romana era ancora rammentato ciò che a loro doveva la scienza; e la loro magìa era chiamataars Chaldaeorum, i loro calcoli genetliaci babylonii numeri e rationes chaldaicae, e i loro responsi sul futuro Chaldaeorum monita, Chaldaeorum natalitia praedicta.

Però non è in Mesopotamia che bisogna cercare l'origine della parola magìa; infatti essa non è d'origine turanica, ma ariana, e non ci è pervenuta per designare l'arte divinatoria degli Accadi, ma dei Medi, il magismo dei quali è il risultato della combinazione dell'antica religione turanica dei Protomedi col mazdeismo, sul quale ha esercitato una grande influenza.

La parola Magi negli scrittori, che ci parlano delle dottrine religiose persiane, ha un doppio significato; infatti una volta è usata nel senso di sacerdoti del mazdeismo, di quelli di cui Ermodoro dice che insegnavano la risurrezione, l'immortalità nel mondo futuro, il dualismo dei due principi, Ahura-Mazda ed Auro-Mainyus; proibivano di bruciare i corpi e permettevano il matrimonio tra i parenti di primo grado; e un'altra volta in quello di sacerdoti, o sapienti eranici, che seguivano delle pratiche caldee, che, come dice Plutarco, sacrificavano ad Auro-Maynius, e predicavano d'astenersi dal mangiar carne e di non cibarsi che di latticini.

Furono questi secondi che ottennero in Persia, come prima nelle corti dei re niniviti, quell'ascendente religioso e politico, che li pose per un momento a capo dello Stato sotto il falso Smerdi, e che apportarono elementi nuovi alla modificazione delle dottrine avestiche; per cui nacque l'errore, comune a quasi tutti gli scrittori classici, d'assegnare in un'epoca tanto remota la vita di Zoroastro. Errore occasionato anche probabilmente dal fatto, che non vi è stato un solo Zoroastro, ma parecchi, come dubitava anche Plinio, essendo comune questo nome presso i Persiani, come presso gli Arabi quello di Maometto; ciò che ha naturalmente occasionato una confusione di persone, di tempi e di azioni, che ha sviato molti scrittori.

Malgrado ciò, e la confusione fatta fra il magismo medico e il zoroastrismo, esisteva un antagonismo profondo fra queste due dottrine, che naturalmente non possono andar confuse: antagonismo però che diminuì a poco a poco a misura che il mazdeismo perdeva della sua purità, sicchè a questo si sostituì una religione sincretica, nella quale avevano una larga parte gli elementi del naturalismo turanico, e il mago trovava il suo posto a fianco all'athrava. Numerosi passaggi delle antiche formole magiche lasciano pure intravedere dei rapporti tra il fondo delle credenze zoroastriche e quello della religione naturalista accadica: ciò che ha fatto pensare che siano d'origine caldea quei dati estranei alle tradizioni avestiche, che si trovano nei libri di Zoroastro; benchè il Lenormant non ammetta, come il Rawlinson, che il culto del fuoco, che costituiva il rito principale, caratteristico e permanente del mazdeismo, sia stato preso dal magismo medico all'antica religione turanica.

Le influenze della divinazione e della magìa accadica non si estesero solo in Media, ma anche in altri paesi vicini. Così l'idea, che i demoni abitassero nel deserto, era comune ai Caldei, ai Siri e agli Ebrei; il lilith, ha una gran parte nella demonologia talmudica; la bacchetta magica, di cui fa continua menzione la Bibbia, e l'uso di tirare a sorte per mezzo di freccie agitate in un turcasso, comune agli Arabi, e di cui fa cenno anche Ezechiele, erano d'origine accadica, come lo dimostrano alcune incisioni sui cilindri babilonesi; l'uso di tirare auguri dagli alberi, che ha un sì largo posto nella magìa babilonese, ha un riscontro presso i Greci, gli Ebrei, gli Arabi e gli Etruschi. Altre traccie del magismo nella Bibbia si trovano nel racconto di Balaam figlio di Peor, venuto dalle montagne dell'est, al di là del Tigri; e in quelli di Salomone e di Giobbe. Inoltre gli Ebrei, credenti o no, si coprivano d'amuleti e di gioielli magici, e durante la loro schiavitù in Babilonia s'avvicinarono ai Caldei, frequentarono le loro scuole, praticarono le loro arti, e occuparono, come Daniele, alti impieghi teocratici e civili.

II magismo non è scomparso da quei luoghi, in cui una volta tanto fiorì, e l'Oppert vede a ragione un resto del magismo degli antichi Medi nella strana religione degli Yezidi, o adoratori del diavolo, sparsi nell'Irak-Ajem e nel nord della Mesopotamia, i quali mentre professano nei loro domini il dualismo mazdeistico, non adorano che il principio cattivo.
© Luigi Albano
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