Le tre Grazie - Luigi Albano

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LE TRE GRAZIE

La grazia distingue ogni concepimento del genio artistico degli Elleni; non bisogna quindi meravigliarsi se gli Elleni abbiano rappresentato la Grazia come una divinità, per la stessa ragione che mosse il genio religioso degli Indiani a rappresentare la Preghiera come una Dea evocatrice del mondo.
Le Grazie elleniche si sono confuse con le Ore, che, nelle più antiche rappresentazioni, erano tre; vaghissime, dai piedi delicati, gioconde, amabili, aprenti con la danza le porte del Cielo, si confondono con Armonia, Ebe ed Afrodite; anzi Afrodite o Venere appare come la più bella delle tre Grazie, quella a cui il giovane Paride destinerà il pomo della bellezza.
Le Ore aprivano nell'anno le tre stagioni liete, la stagione dei fiori, la stagione delle messi, la stagione dei frutti.
In Esiodo poi acquistano un significato morale espresso dai loro nomi rispettivi, Eunomia, la buona legge di governo; Dike, la giustizia; Irene, la pace.
Le Grazie furono definite dai Greci Charites, e come tali furono paragonate dal prof. Max Mùller alle Haritas, i biondi raggi che reggono il carro del Sole nell'Olimpo Vedico.
Antimaco faceva pure le Grazie figlie del Sole (Helios) e di Egle (la Luce).
Presso Esiodo, le Grazie sono figlie di Zeus (Giove) e di Ettrinome, una specie di alba che spumeggia dal mare notturno. Alle Grazie furono dati i nomi di Charis, o grazia per eccellenza, Venere, Afrodite data in sposa ad Efesto o Vulcano, il Dio del fuoco; di Kleta, la splendida; di Faenna, la brillante; il nome di una delle Grazie promessa da Giunone come sposa al Dio del Sonno è ancora Pasithea, che parrebbe rendere l'immagine dell'Aurora Vespertina.
In ogni modo, le Grazie sono, come Venere, particolarmente congiunte con i fenomeni dell'Aurora, e però esse vanno in leggiadra compagnia con il Sole Apollo, che, nel tempio di Delo, le portava sulla palma della mano, quasi emblema di quei raggi solari che Apollo tiene in mano come redini: altro particolare che fa avvicinare le Charites elleniche alle Haritas indiane.
Apollo è bello; e le Grazie appaiono emblema della bellezza; Apollo ama la danza e la musica, e le Grazie come le Ore danzano, cantano, suonano, confondendo il loro ufficio con quello delle Muse che scortano Apollo.
Le Grazie sono gioconde, come la prima ora del giorno, come la verdeggiante primavera, nella quale Venere, suprema bellezza del Creato, viene particolarmente simboleggiata; perciò, presso Pindaro, le Grazie sono date compagne ad Afrodite in Pafo, intente ad ornare la Dea.
Le Grazie sono leggiadre e benefiche: si vestono di sola rugiada e la spandono; sempre pure e caste nella loro stessa nudità; splendide, rallegranti, fecondanti.
Due di esse erano chiamate Egemone e Auxo ad Atene, come reggitrici della bella stagione e come accrescitrici della prosperità della Terra; in Beozia si davano loro i nomi di Aglcuia, splendida, di Eufrosine, che reca gioia all'animo, di Thalia, che fa pullulare, germogliare e fiorire le piante.
Le Grazie hanno inspirato spesso le Arti e la pittura e la scultura le hanno rappresentate con predilezione; di solito esse sono state raggruppate in modo che una volti le spalle e le altre due si vedano di faccia; così sono raffigurate in parecchie antiche e moderne rappresentazioni.



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