Dissertazione sull'Origine dell'Idolatria -antiche Divinità - Luigi Albano

LUIGI
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Dissertazione sull'Origine dell'Idolatria
ANTICHE DIVINITA'

L 'autore del Libro della Sapienza ci propone due o tre fonti dell'Idolatria.

Il primo, dice che fu l'amore e il dispiacere d'un padre, che perduto il proprio figliuolo in tenera etade, fece per consolarsi di sua morte, formar la figura di quel fanciullo, e al medesimo rende tra la sua famiglia onori Divini: dalla sua famiglia dilatosi nella Città la suprestizione, e d'un Dio particolare addivenne ben presto un Dio comune.
Il secondo, la bellezza dell'Opera d'uno scultore; credendosi, che la Divinità abitasse in istatue così belle, e tanto bene adornate.

Il terzo, che corrisponde quasimente al medesimo, si è, quando un manipolatore d'argilla, avendo fatta una qualche statua ben proporzionata, la consacrò come una Divinità.

Calvino per arrogarsi l'autorità di condannare il Libro della Sapienza, e d'escluderlo dal numero dei Canonici, pretese, che l'Autore si fosse grossamente ingannato in quanto disse dell'origine della Idolatria, e che il suo sentimento intorno a ciò sia falso, e da non potersi sostenere, di che conclude non esser egli Scrittore inspirato, per essere incompatibile l'errore colla inspirazione del Divinissimo Spirito.

Per risarcire l'onore di questo Sacro Autore, e nel tempo medesimo quello di tutta la Chiesa Cattolica, che ricevve questo Libro nel numero delle Divine Scritture, noi abbiamo impreso la presente Dissertazione, in cui esamineremo i vari fonti dell'Idolatria, e daremo a divedere, che l'Autor di quest'Opera non si è avanzato a dire cosa, se non giustissima, e ch'e' non pretese mai di darci un'esatta enumerazione di tutte le qualità, e spezie dell'Idolatria, neppure di precisamente indicarne la prima origine: ma che solamente ha proposto alquanti esempi di quella grossolana Idolatria, che consiste nell'adorare le statue, e rendere agli uomini morti onori divini.

Quest'ultima sorta e moderna, posta a petto d'un'altra più antica, che consisteva in adorare gli Spiriti, gli Astri, e gli Elementi.

Ecco ciò che noi ci accingiamo a dimostrare.

Gli Epicurei, e coloro che si fecero sistemi di Religion naturale, suppongono, che l'uomo casualmente creato, come il rimanente del Mondo, fosse fortunosamente, e a grado a grado pervenuto a comporsi un Linguaggio, a prescriversi delle Leggi, a vivere in società, a adorare gli Dei, e a formarsi una Religione.

Ciò che produsse gli Dii, dice uno di essi, altro non fu se non se la superſtizione, e un vano timore.

Primus in orbe Deos fecit timor

E un'altro: le Leggi, e la Giustizia debbono l'origin loro al timore, ch'ebbesi della violenza, e della ingiustizia.

Jura inventa metu iniusti fateare necesse est.

L'uomo turbato da i sogni, dice Lucrezio si fabbricò Dei immaginari.

Siccom'egli in sognando vedeva uomini di taglia molto superiore alla naturale, e d'una bellezza tutta straordinaria, si figurò, che tai fantasmi effettivamente esistessero; e siccom'egli niente mirava di simile nella natura, così pensò di farsene tanti Dii.

Di qui derivarono le Statue, i Templi, e gli Altari per tutto il Mondo innalzati. Per l'altra parte il muovimento regolato degli Astri, il loro splendore, la beltà, la grandezza, sedussero un gran numero di popoli.

Incapaci coloro di comprendere la ragion naturale di quegli effetti, s'immaginarono esservi sopra di loro un'Ente di somma potenza, che tutto ciò ne governasse; o che quegli Astri medeſimi fossero tanti Dii, onde il potere si estendesse sopra gli uomini tutti.

Ma o quanto poco sapevano questi Filosofi l'origine della Religione! Non fu già l'interesse, ne la paura, ne l'errore, né il caso che fecero nascer nell'uomo l'idea d'un Dio, e il concetto d'un Ente, che tutto possanza ci domina.

E' un ver questa idea scolpita nel fondo dell'anima nostra, recando noi nel nascere i semi della Religione, che perfezionati poi sono dalla ragione, e dalla Grazia renduti fruttiferi.

A fine di perſuadersi della esistenza d'un Dio, non ha l'uomo che a consultare il proprio cuore, che a mirare le creature, che a dare orecchio alla sua ragione.

Una adunque delle maggiori sorgenti dell'Idolatria fu l'abuso, ch'ei fece dei naturali suoi lumi; volontaria fu la ignoranza, e la sbadataggine in non esaminare, e internarsi in quelle generali cognizioni, che trova nel fondo di se medesimo.

Porfirio erudito Pagano, e gran contradditore della Religione Cristiana, conoscendo la debolezza della materiale Idolatria, e osservando con disguſto il vantaggio, che i Discepoli di GESU' CRISTO traevano da i principi ridicoli, e dall'empie pratiche del Paganesimo, inventò un sistema di Religione più probabile, e più spirituale, che non quello del comune dei Greci.

Fondavasi costui sull'autorità di Teofraste, il quale descrivendo la Religione de primi uomini, ne porge un'idea diversissima da quella, che di poi inventò la Superstizione.

Ne i principi non adoravasi, a detta sua, alcuna sensibil figura, ne offerivasi verun sacrificio sanguinolento, né tampoco v'erano Templi, né Altari, né Sacerdoti particolari.

I nomi, le genealogie, e le distinzioni di vari Dii non erano per anche in costume Rendevansi bensì al primo Principio gli omaggi, e pure le adorazioni; presentavansegli erbaggi, latte, e frutti; alzavansi verso il Cielo mani pure, ed innocenti; facevansi libazioni di liquori ſenza ſolennità; praticava ciascuno da se medesimo le funzioni di Sacerdote.

Ecco qual'era la Religione da Porfirio approvata; ecco, secondo lui, il puro, e vero Paganesimo; ecco la Religione dei Dotti, e dei Filoſofi.

Quella che voi impugnate, diceva cotestui a i Cristiani, e la Religione del popolo, e degl'ignoranti, Eusebio ha sovente riferita la testimonianza di Teofraste, e di Porfirio, e se n'è valso contro gl'Idolatri, per mostrare gli abusi che regnavano nella lor Religione, oppostissima a quella dei primi uomini.

Ma qua non tendeva la intenzion di Porfirio; essendo ben esso alienissimo dal richiamar gli uomini alla pratica della Religion degli antichi Patriarchi, di Adamo, d'Abele, di Set, d'Enoc, e di Noe, mentr'egli non riconoscevagli punto: volea bensi allontanar dal Paganesimo i rimproveri, che gli venivano fatti intorno alla pluralità degli Dii, e sopra i sacrifizi sanguinolenti; pretendendo di darci un'idea vantaggiosa del suo Paganesimo riformato, e spiritualizzato.

Ma a noi non può piantare simiglianti carote; sostenendo segli in faccia, che giammai tra i Pagani videsi in verun luogo del Mondo una Religione consimile a quella, ch'e ci dipinge.

Se tro vansene esempli veri, e reali, sono solamente nella vera Religione, e negli antichi Patriarchi, i quali non erano punto Gentili, adorando essi non già il Cielo, o gli Astri, o confuſamente il primo Principio, ma il Signore, il Dio Onnipotente, il Creatore del Cielo, e della Terra.

Il loro culto non era superstizioso, né di propria elezione; ma Dio medesimo revelava loro la maniera, onde volea essere adorato, e servito.

In vano Porfiiro, e i suoi pari si sono affaticati a giustificare delle sue abbominazioni il Paganesimo.

Il principio della Idolatria e l'errore, e il libertinaggio; il suo fine e la empietà, e l'ateismo.

Cercarono parimente altri Filoſofi una novella origine del Paganesimo.

Confusi dalla faragine mostruosa di tante stravaganze; e vergognandosi de i rimproveri che lor facevansi in ordine alle scelleratezze dei loro Dei, sul capriccio del lor culto, e sulla incertezza della loro genealogia, fantasticarono di dire, che quegli, ch'e' prendevano per loro Dii, punto non erano; e che s'incolpavano fuor di ragione di rendere adorazioni a degli uomini, non adorando essi se non gli Astri e gli Elementi: Che Giove era il Cielo, Nettuno l'Acqua, Apollo il Sole, Diana la Luna, l'Aria Giunone, Vulcano il Fuoco, e così degli altri.

Ma se il culto degli Astri sembra meno iniquo, che quel delle statue, é forse più lecito, che il culto che rendesi agli uomini?

Cosa è meglio adorare una creatura ragionevole, ovvero un'ente insensibile? Il Sole, che è fatto per l'uomo, val'egli per avventura più, che l'uomo medesimo? E' inutilissimo l'essersi affaticati in voler esplicare la Favola, e la Teologia del Paganesimo; e questo un voler render ragione di ciò, che non ne ha, e questo, come dice Cicerone, voler dare spiegamenti sani a favole frivole, e ridicolose.

Il Paganesimo venne formato senza disegno, e non è opera di persone saggie, e ragionevoli.

Chi cominciollo, non avea alcun ben inteso sistema. Un popolo ignorante, e superstizioso gli diè nascimento; i Sacerdoti l'abbracciarono per interesse, i Principi per Politica, i Dotti per tema del furore del popolo; o, per meglio dire, essi non fur giammai veramente, e da senno Idolatri, quantunque nell'esterno ne praticassero le cerimonie, e seguissero la moltitudine, offerendo ai falsi Dei gl'incensi, de quali nel loro cuore ridevansi.

Alcuni lasciavano al popolo il culto materiale, e s'innalzavano a qualche cosa di più spirituale.

Mentre che essi prostravansi dinanti alla statua di Giove, sollevavano la loro mente a quel falso Dio, che credevano essere il Dio del Cielo; immaginandosi con ciò di separarsi dalla turba, e rendere agli Dii un perfettissimo.

Come se Giove, ovunque egli esser potesse, meritasse maggior rispetto che non la sua statua; e come se fosse permesso, innalzandosi all'originale, di rendere un culto empio a un'uomo sregolato, e corrotto: imperocche tal'è l'idea, che la Storia, e la stessa Teologia de' Pagani cii danno di Giove, e degli altri Dei.

M. le Clerc sostiene, che la più antica spezie della Idolatria è quella, che rende agli Angioli un sommo onore.

Il loro culto e certamente antichissimo, essendosi da principio cominciato a rendere a i medesimi qualche sorta di rispetto, fondato sulla gratitudine ad essi dovuta, merce dell'aiuto che noi ne riceviamo: indi si rese loro un culto subordinato a quello, che è dovuto all'Onnipotente, finalmente si adorarono senza relazione a Dio, e senza limitazione.

Si unirono agli Angeli l'anime degli uomini trapassati, massime dei Principi. Appresso si pensò a dire, che quell'anime, o spiriti separati da i corpi erano uniti a certi Astri, e che animavanli; e di qui nacque l'adorazione che si rendette a gli Astri.

Conobbero gli Orientali assai presto gli Angioli, essendone piena tutta la loro Teologia.

La Scrittura fanne frequentemente menzione. Fu dall'Oriente che Pittagora, e Platone portarono in Grecia sì fatta notizia, credendo essi, che l'anime discendessero dall'aria, o dal Cielo, per animare i corpi, e che dopo lo scioglimento del corpo elle risalissero nell'aria, o in Cielo.

Eran costoro fortemente persuasi, che gli Astri fossero animati, e leggonsi anche nella Scrittura certe popolari espressioni, che sembrano favorevoli a cotal'oppinione. Ecco ciò, che die motivo all'adorazione dei Astri.

Si giunse dipoi a adorare i Re; e quel ripetto che aveali sempre accompagnati sul trono, gli seguì anche al sepolcro.

In questa guisa si resero gli onori supremi a Belo Re di Babilonia, a Osiri Re d'Egitto, a Giove Re di Creta.

Stima Vossio, che la più antica Idolatria sia quella dei due Principi del bene, e del male. Avendo gli uomini osservato il Mondo colmo di beni, e di mali, e non potendo immaginarsi, che un Dio tutto bontà esser potese l'Autore del male, inventarono due Divinità uguali in potenza, e insieme eterne, alle quali attribuirono operazioni per affatto diverse.

Venne l'una riguardata come la causa d'ogni bene, e l'altra come l'origine di tutto il male, credendosi, che questa combattesse continuamente contro di quella, e ch'esse cercassero a vicendevolmente distruggersi.

Che antipatia sì fatta, e gli continovi loro contrasti fosser la causa del ritardamento della creazione del Mondo sino al momento in cui fu creato. Che il buon Principio avendo alla fin prevaluto, fu creato il Mondo: ma il cattivo Principio per vendicarsene, aveavi seminato tutto il male a lui possibile. Ecco, secondo Vossio, il sistema dei più antichi Teologi del Paganesimo.

Ecco di dove ebbe cominciamento la falsa Religione.

A questo culto de i due Principi succede quello degli Spiriti, principalmente dei Demoni; e susseguentemente quello dell'anime degli Eroi, e delle persone illustri.

Il prefato Autore non s'impegna a provar ciò con prove di fatto, essendo impossibile d'allegarne; ma si contenta d'addurne conjetture, e ragioni di congruenza.

Ravvisarono i Padri moralmente la cosa, ed osservarono con molto di ragione, che l'Idolatria venne nel Mondo per via del peccato, e per la corrutela del cuore umano.

L'orgoglio, e il disordinato amor del piacere e della independenza, sono le vere cagioni del suo stabilimento. Fino a tanto che l'uomo conservò un qualche raggio della primiera sua luce, e alcun vestigio dell'amore, e del timor del suo Dio, si mantenne e fu alieno dal portarsi al mostruoſo eccesso di rendere alla creatura ciò, che unicamente e al Creatore dovuto. Ma tosto che abbandonossi alla sfrenatezza del suo cuore, e del suo spirito, lo vedemmo fabbricarsi delle Divinità conformi alla sua inclinazione, incapaci di rattenerlo per lo timore, e di reprimerlo con la di loro autorità: onde si fece a se stesso una falſa Religione, e ingiustissime Leggi.

Ritenuto per l'una parte dall'idea d'un Dio, che non poteva nel suo se scancellare; straccinato per l'altra dall'amore della libertà, trasferì a oggetti sensibili, e caduchi, il culto, e l'adorazione che all'Onnipotente doveva.

Conservando poscia un vagante concetto del sommo Bene, della suprema Bellezza, della Bontà, dell'Ordine, e della Sapienza essenziale, come tanti Attributi della Divinità , impose follemente il nome di DIO a cose, nelle quali credeva di scorgere un qualche debol vestigio di così eccellentissime qualità.

La maggior parte degli Scrittori credono, che gli Astri fossero i primi oggetti della Idolatria, come quelli nei quali trovò l'uomo maggiori caratteri di Deità; un movimento non interrotto, un splendore sempre brillante, vantaggi grandissimi rispetto alla vita, e alla conservazione degli animali, e delle piante. Erano cotestoro Dei benigni, comodi, utili, che nulla esigevano, niente vietavano, e in nulla al di lor genio opponevansi, né freno alcuno ponevano alle loro inclinazioni.

Ecco ciò che conveniva all'uomo inimicissimo della dependenza; e amador dei piaceri. Il culto degli Elementi, del fuoco, dell'acqua, dell'aria, della terra, dei venti, venne appresso a quello, che agli Astri si rese, essendo fondato sovra gli principi. Una stima fuor di misura delle belle qualità di quegli enti, una riconoscenza eccessiva degli avvantaggi che se ne traggono, la ignoranza della natura del primo Principio di tutte le cose, indussero gli uomini a unire gli Elementi agli Astri, che di già adoravano.

Una tal Religione essere non poteva se non agevolissima, trovandovi la cupidigia il suo conto con avere Iddii muti, e di propria invenzione.

Qui per tanto non si rimase, attribuendosi ben presto la Divinità a cose insensibili; come fiumi, boschi, fontane; e insieme a utili, e dannosi animali: agli uni, per riconoscerne i benefizi che fanno agli uomini; agli altri, per allontanare i mali che cagionare lor possono. Noi non imprendiamo a decidere, se il culto renduto agli uomini, precedesse quello, che agli animali, e agli Elementi si rese; ma è indubbitato, che tutti sì fatti culti superstiziosi sono antichissimi, e dacché una volta si principiò a dare in somiglianti eccessi, non vi fu più regola, ne misura.

L'uomo offerì incensi a quanto gli cadde in fantasia, al legno, alla pietra, a i metalli, agli animali, alle membra stesse del corpo umano, e alle passioni più vituperose. Adorossi l'amore impuro col nome di Venere; la vendetta, e l'ambizione sotto il nome di Marte; l'intemperanza, e l'ubriachezza sotto quello di Bacco.

Quanto al culto renduto agli uomini, se ne possono notare molte ragioni: A cagione d'esempio, l'amor d'una sposa verso il suo sposo; ed è ciò, che produsse il culto d'Adone sposo di Venere sì famoso in tutto l'Oriente; e quello d'Osiri spoſo d'Iside così celebre in tutto l' Egitto.

Altrove fu il timore dei Re viventi, la stima verso dei Principi morti; qui, la gratitudine; là, l'adulazione, che fecero annoverare tra gli Dii, ottimi, e pessimi Principi.

Il timore vi fece ammettere i malvagi; vi collocò i buoni l'amore. L'Autore della Sapienza ce ne accenna un'altra sorgente; ed è la tenerezza d'un padre verso del suo figliuolo, rapitogli dalla morte ancor bambino.

L'affitto padre facendo rappresentare il suo figliolo da perito pennello, gli rese ossequi come a suo Dio. Tale fu Sinofane Egizio, il quale fece ascrivere il suo figliuolo nel numero degli Dei.

Tale parimente fu la follia di Cicerone, ch'erasi accinto per far rendere alla sua figliuola Tulliola onori divini, avendo esso cominciato il primo ad invocarla.

Ma in qual tempo principiò mai somigliante disordine, e per qua' gradi giuns'egli al suo colmo? Credano i Rabbini, che avanti il Diluvio fosse già stabilita Idolatria, e che tale scelleraggine sia una di quelle, che il Signore purgò con l'acque del Diluvio.

L'idea, che i Sacri Libri, e i profani ci porgono degli antichi Giganti come d'uomini d'una tracotanza, d'un'orgoglio, e d'una corruttela infinita, corrisponde non poco alla opinione degli Ebrei, esplicando in questo senso un passo della Genesi (Genes. IV. 26. âs huchal likro beschem adonai.), che può nella seguente forma tradursi: Allora si profanò il nome del Signore, invocandolo, e appropriandolo agl'Idoli. Ma tale spiegamento è stato quasi sempre ristretto nella Scuola dei Rabbini. I Padri, e gl'Interpetri Cristiani intesero bene altramente cotesto passo.

Leggono i Greci: Enos pose la sua fidanza nell'invocare il nome del Signore.

Aquila: Allora s'incominciò ad invocare il nome del Signore, ovvero allora si principiò a stilare il nome del Signore; a qualificarsi col nome di servidori di Dio, e a distinguersi da i malvagi, con questa denominazione.

I figli di Set, e d'Enos fur conosciuti nel Mondo sotto il nome di servidori, o di figliuoli di Dio; e la razza di Caino sotto quello di figliuoli degli uomini.

E' quest'ultimo senso senza difficoltà molto migliore e del primo; il che però non repugna, che l'Idolatria non fosse in quel tempo comune.

Ma queſto Testo bene spiegato punto nol prova.

Alquanti Padri credettero, che Sarug zio di Tare, e il settimo dopo Noe, avesse inventata dopo il Diluvio la Idolatria: ma non trovasi di questo sentimento prova veruna. Dice la Scrittuta in foggia assai distinta, che Tare padre di Abramo, e Nacor furono da principio consagrati al culto degl'Idoli; insinuando lo stesso parlando di Abramo; perlocche si giudica, che culto sì empio non era, che troppo antico nel Mondo, perche oramai così dilatato.

Gioseffo par che dica, che questo male fosse generale, mettendo in campo, che Abramo fu il primo, che confessò non esservi che un solo Iddio, e che tutto l'Universo era opera delle sue mani.

La famiglia di Nacor, che soggiornava di là dall'Eufrate, continuò nella sua superstizione.

Racchelle che rubbò i Terafimi di Labano suo padre dimoſtra assai bene, che quegl'Idoli erano adorati dalla sua famiglia.

La maggior parte de i Padri, e dei Comentatori non fanno minima difficoltà in riconoscere, che Abramo, e il suo genitore fossero Idolatri, e che la Idolatria fosse già lunga pezza avanti di loro stabilita. So benissimo esservi degli Scrittori contrari a cotesta opinione, i quali sostengono, che Abramo non uscì del suo paese, se non per liberarsi dalle persecuzioni, alle quali stava esposta la sua pietà: Ma le prove ch'e' adducono, non sono in modo verun convincenti.

Nemrod quel robusto Cacciatore, come chiamalo la Scrittura, e quegli, a cui più comunemente si attribuisce la invenzione della Idolatria.

Dice Gioseffo, che costui sollevò gli uomini contro Dio, e indussegli alla audacissima impresa della Torre di Babele, Pretendesi, ch'egli introducesse nella Caldea il culto del fuoco, che vi perdurò sì lungamente: e in questo fuoco pretendesi pure, che Abramo fosse gittato, e che ne venisse miracolosamente preſervato.

Le più disimili tradizioni ci vengono dal canal de i Rabbini, le narrazioni de quali sono sempre mai sospettissime. Con tuttocché sia credibilissimo, che Nemrod fosse uno dei primi motori, che portasse gli uomini a costruire la Torre di Babele, non v'è alcuna pruova d'aver esso introdotta la Idolatria nella Caldea, benché la cosa non sia punto impossibile. Ma si tratta di fatto, e non di possibile.

Altri riferiſcono a Cam figlio di Noè l'origine degl'Idoli; altri a Canaan suo figliolo; volendosi, che Cam sia lo stesso che Zoroastre, tanto tra gli Antichi famoso, e sì poco da quei medesimi, che ne parlano, conosciuto. A Cam si attribuisce il ritrovamento della magia, e delle arti nocive, che vi han relazione.

Si vuole, che Canaan disseminasse la superstizione e il culto de i falsi Dei tra i Fenici, e i Cananei suoi discendenti, per mezzo de'quali si comunicò agevolmente in tutto il Mondo.

Sanconiatone c'espone una Teologia quasi compiuta dei Fenici, e vedesi da quel che dice ne, che la falsa Religione principiò in quel paese, poco meno che col mondo. Ma quel che ci parlan di Cam, e di Canaan non avendo prove positive di quanto propongono, non si può far fondamento veruno sopra il loro referto. Per altro si sa, che Sanconiatone è un'Autore fabbricato verisimilmente da Porfirio, e che non ebbe mai esistenza.

Quei che sostengono, che Nino Re d'Assiria fosse il primo, il quale rendesse gli onori divini a un uomo, non sono meglio fondati di coloro, che s'avanzano a dire, che fu Cam, o Canaan. Edificò Nino, per quanto dicesi, un Tempio a Belo suo genitore, e volle, che servisse d'inviolabile asilo a chiunque vi si fosse ritirato.

Ma Nino fondatore dell'Imperio d'Assiria era figliuolo, e non padre di Belo. Inoltre ei regnava nei tempi dei Giudici d'Isdraello, secondo il calculo d'Usserio (Usserio mette il regno di Belo l'anno del mondo 2682 e quello di nino nel 2737).

Sicché non poté esser costui l'inventore della Idolatria, la qual era assai più antica, io non dico solamente in Egitto, ma eziandio di là dall'Eufrate, poichè Racchele portò via i Terafini di Labano suo padre e che Giacobbe nascose sotto d'un'albero nella terra di Canaan gl'Idoli, che la sua gente avevan recati dall'altra banda dell' Eufrate.

Finalmente vedemmo, che la Scrittura rimprovera a Tare, e ai ſuoi figliuoli, il culto dei falsi Dei nella Mesopotamia, Adunque eravi incontrastabilmente buona pezza prima di Beso, e di Nino. Vero è, che non si sa precisamente, se già d'allora si fossero renduti agli uomini onori divini; ed è credibilissimo, che avanti Belo non s'adorassero in quel paese, se non gli Astri, e gli Elementi.

Ma in cosa cotanto ambigua noi non possiam darne, un'accertato giudizio.

Fa d'uopo portarsi in Egitto per trovare intorno a ciò qualche cosa di meglio fondata. Stima Grozio, che del tempo di Giuseppe non fosse per anche comune in Egitto la Idolatria; contuttociò si vede già d'allora in quel paese una somma passione per la magia, per la divinazione, verso gli auguri, e la interpetrazione de i ſogni; testimonio ne sia l'inquietudine di Faraone per sapere il significato del suo sogno.

I privilegi de i Sacerdoti Egizzi erano in quei giorni gli ſtessi, che veggonsi lungo tratto dopo presso Ercoloto, e ai medesimi conceduti da Osiri, allo scrivere di Duccioro.

Gli Egizziani, e gli Ebrei aveano già una reciproca antipatia l'uno contro dell'altro, ne punto mangiavano insieme; locché stava fondato secondo tutte l'apparenze, perche gli uni adoravano certi animali, che gli altri uccidevano, e sacrificavano.

Lo indubbitato si e, che gli Ebrei si corruppero nell'Egitto, e gl'Idoli vi adorarono, come a i medeſimi rinfacciano i Profeti; e come apparisce dal Vitel d'oro, che adorarono nel deserto poco dopo la loro escita d'Egitto, e dagli Idoli che portavano dentro le custodie nel loro viaggio, e per una quantità di Leggi di Mosè che suppongono l'Idolatria dominante, e radicata da lungo tempo appo gli Egizzi, i Cananei, i Madianiti, e i Moabiti, e una Idolatria che non solo avea per obbietto gli Astri, e gli Elementi, ma eziandio gli uomini, e gli animali.

Proibisce Mosé d'adorare qualunque figura di quanto è visibile su nei Cieli, sopra la terra, e nelle acque. Ecco il generale divieto d'adorare gli Astri, gli animali, ed i pesci.

Il Vitello d'oro era una imitazione del Dio Apis. Il cofano di Molocco, menzionato da Amos, era veriſimilmente portato con una figura del Sole. Proibisce Mosé agli Ebrei d'immolare ai Tori, come fecero altra fiata. Il Morto all'onore di cui vieta di fare il lutto, era lo stesso che Osiri.

Belfegorre ai misteri del quale vennero indotti dalle donne di Madian, era Adone. Molocco, barbara Divinità, a cui sacrificavansi vittime umane era comune al tempo di Mosè, come pure cotanto abbominabili sacrifizi. I Cananei adoravan le mosche, e gli altri insetti, al riferire dell'Autore della Sapienza. Ci parla il medeſimo degli Egizi di quella età, come d'un popolo immerso in ogni genere d'abbominazioni, e che adorava tutta sorta d'animali, anche i più perniziosi, e nocivi.

Il paeſe di Canaan era ancor più corrotto; ordinando Mosé di demolirvi gli Altari, di tagliarne i Sacri boschi, d'atterrarvi gl'Idoli, e i monumenti superstizioſi. Ei parla pur de i recinti, ove mantenevasi un fuoco perpetuo a onore del Sole.

Ecco l'epoca la più indubbitata, che noi abbiamo della Idolatria. Ma non è già un'epoca che ce ne mostri l'origine, ed il principio, ne tampoco i progressi, e l'avanzamento. Ella presentaci una Idolatria perfetta, e giunta al suo colmo; gli astri, gli uomini stessi adorati come tante Divinità, la magia, la divinazione, e l'empietà al più alto grado, a cui potessero giungere; finalmente le laide sfrenatezze, ordinarie sequele del culto smoderato, e superstizioso.

Gl'Autori profani non ci suggeriscono niente di così certo, né di così antico.

Teofraste citato da Porfirio diceva essere grandissimo tempo, che gli Egizziani, quei saggi mortali, aveano cominciato ad offerire agli Dei Celesti dei sacrifici ne i propri lor domicili, non già sacrifizi d'incensi, né d'altri profumi, (non essendo venute in uso tali cose se non lungo tratto dipoi) ma erbe verdeggianti che coglievano con mani pure, e che offerivano sollevandole verso il Cielo, come primizie delle produzioni della natura.

E perché la terra produsse prima le piante, che gli animali , divelgevan costoro le piante intere con le loro foglie, e radici, e abbruciavanle per cattivarsi la protezione degli Dii Celesti; consecrando parimente loro fuochi perpetui nei loro Tempi, o entro recinti a bella posta consacrati.

Eran'eglino, segue asdire, sì alieni da quelle prodigalità d'incenso, e da que sacrifici sanguinolenti, che offerisconsi alla giornata, che colmavano di maledizioni chiunque si fosse dipartito dall'uso antico, che oggidì veggiam noi tanto generalmente messo in oblio. Ma sfidansi Porfirio, e Teofraste a mostrare, che gli Antichi Egiziani abbiano adorato ciò, ch'essi chiamano gli Dei Celesti, ne che abbiano praticata giammai tal chimerica Religione. Non trattasi qui d'inventare ipotesi, e belle idee; si cerca il vero, e s'addomandano pruove di fatto; e la Scrittura somministracene d'indubbitabili in tempi rimotissimi, e al dilà de quali ne Porfirio, né Teofraste non potranno produr mai monumento alcuno degno di fede.

Diodoro di Sicilia s'avanza a dire, che Osiri Re d'Egitto elevò un Tempio sontuoso a Giove, e a Giunone suoi genitori; consacrando costui due nicchie d'oro a suo padre, l'una sotto il nome di Giove Celeste, e l'altra sotto quello di Giove Ammone.

Visse Osiri gran tempo avanti Mose; e già d'allora eranvi altri Dei nell'Egitto. Giove Ammone é, al sentire di molti Eruditi, lo stesso che Cam padre di Mesraimo fondatore del Regno, e progenitore dei popoli d'Egitto: Vuole Arnobio, che Foroneo, o Merope sia il primo, ch'ergesse Templi in Egitto. Or Foroneo vivea nell'Egitto nei giorni d'Abramo; mentre Eusebio mette il suo successore Api verso il tempo d'Isacco.

Parla Luciano (Lucian. De Dea Syra) d'un'antichissimo Tempio fabbricato da Cinira a onore di Venere sul monte Libano. Ma se Cinira vivea al tempo della guerra di Troja, come lo pretendono i nostri più periti Antiquari, il Tempio , e il culto di Venere in Siria non ritrarranno da quest'epoca troppo grande avvantaggio. Dice altresì il prefato Scrittore, che certuni riferivano l'origine del famoſo Tempio dell'Iddea di Siria a Deucalione, confuso da non pochi con Noè. Ma sì fatta oppinione non ha la minima prova.

La grossolana Idolatria, che consiste in adorar uomini, e statue, non è nuova nella Grecia  ma non è d'un antichità da poterla disputare con quella dei Caldei, de' Fenici, e degli Egizi. Vantavansi gli Egizziani d'aver comunicata a i Greci la conoscenza di dodici gran Dei, e delle lor cirimonie, e d'avere i primi fabbricato Templi, ed Altari, ed elevato Statue; e i Greci non disconvenivano di non avere ricevute molte cose da quei popoli.

Ma non è agevole d'indicarne il tempo preciso; essendo al tempo della guerra di Troia interamente formata la Religione dei Greci, e vi si miravano i dodici gran Dei, i Sacerdoti, i Sacrifici, e gli Auguri; e il tutto antichissimo e Esiodo, che vivea verso l'età medesima d'Omero, ci ha data una Teogonia, in parte vera , e in parte favolosa, che fa risalire ben alto l'origine degli Dei del Paganesimo.

Ma i Greci poterono aver ricevute d'altronde quelle genealogie, e tradizioni, come pure i nomi degli Dei, ch'Erodoto riconosce venir dall'Egitto; confessando altresì, che una parte delle cirimonie ha per autori Cadmo, e i Fenici da esso menati nella Boezia ; come le feste di Bacco instituite da Melampo, e assunte da Cadmo, giusta la conjettura d'Erodoto.

Finalmente crede costui, che le genealogie degli Dii, che millantavansi nella Grecia, non fossero inventate, se non da che vennero adottati gl'Iddii dell'Egitto.

E gli Egizzi confessano, che tali pretese Divinità erano antichi Re del loro paese, dei quali mostravano ancora l'età, e la genealogia. Vero è, ch'e facevanla salire molto alta: ma alla per fine erano sempre uomini annoverati tra gli Dei, l'uno padre, e predecessore dell'altro. Lo che mostra la vanità, e la falsità della credenza di quei popoli intorno alla Divinità.

Stimano alcuni che l'Idolatria cominciasse, presso i Frigi. Altri ne rapportano il cominciamento a Melisso Re di Creta. Insegnano i Greci, che Cecrope loro Re avea il primo elevata una figura, a cui die il nome di Giove, e alla quale sacrificò delle vittime. Asseriscono altri, che Dedalo fu il primo ad erger le Statue.

Ma vero si é, ch'egli riformò solamente le antiche, e siccom'egli era eccellente Scultore diede loro un'aria più bella, più nuova e più svelta, che per l'addietro esse non ebbero. Avanti a lui eran le Statue fatte tutte d'un pezzo, e rozze come noi tuttavia vediamo molte Egizzie figure con le gambe attaccate insieme, e le braccia pendolone su'anchi. Dedalo le perfezionò, rendendole più vaghe, e più alla natura somiglievoli. Locche perfettamente corrisponde a quel, che l'Autore della Sapienza ci dice della maestria, e dell'arte degli Scultori, e degli Statuari, i quali mercé della beltà delle loro figure diedero un grandissimo corso all'Idolatria; immaginandosi i popoli ignoranti, che gli Dii dimorassero in quelle statue, massime da che s'incominciò ad attribuir loro gli oracoli.

Noi non parliamo del principio della Idolatria appo i Romani, gli Sciti, i Germani, i Galli, e gli Africani. Oltre che essendo tutto ciò pochissimo cognito, ai va beniaaimo perauaai, che tal disordine era più antico nell'Oriente, e principalmente nella Cananea, nella Fenicia, e nell'Egitto.

Sicche per giuatificare il sistema dell'Autore della Sapienza intorno all'origine della Idolatria, non ci porteremo più altrove a cercarla. Basta
sentire Eusebio su questo argomento, essendo egli persuaso, che la Idolatria trasse nell'Egitto il suo nascimento, e ch' essendosi comunicata a i Fenici, passò nella Grecia, e susseguentemente presso i popoli barbari.

Mirando con istupore gli Egizi la beltà, lo splendore e i movimenti regolati degli Astri, giudicarono, che il Sole, e la Luna fossero Deità , e imposero al Sole il nome d'Osiri, e quello d'Iside alla Luna.

Ma il forte consiste in determinare il tempo di queste due persone, Osiri, e Iside, che furono indubbitatamente un Re, e una Regina d'Egitto. Osiri in una iscrizione conservata sur una colonna a Nisa, Città d'Arabia, dice: Mio paedre è Chronos, il più giovine di tutti gli Dii. Io sono il Re Osiri, che portai le mie armi per tutta la terra. . . - Sono il primogenito di Chronos, e il rampollo d'una bella, e nobil prosapia, e il parente del giorno: Nè v'è luogo alcuno, ov'io stato non sia. E sopra d'un'altra colonna nel medeſimo posto: Io sono Iside Regina di tutta questa regione, che sono stata instruiti da Thofie. Niuno ha forza di stogliere ciò, che io legherò. Sono la primogeinita di Chronos il più giovine degli Dei. Sono la moglie e la sorella del Re Osiri .... Madre sono del Re Horo.

Ecco la lor'origine, e ben distinta genealogia. Ed è certo, che prima del loro tempo adoravansi già gli Astri nell'Egitto. Non s'impose agli Astri il nome degli uoimini, se non da che si trasferì a questi il culto, che ne i principi solamente rendevasi al Sole, e alla Luna. Allorchè si pensò d'adorare successivamente le bestie, si volle far credere, che gli Dii nella guerra de' Titani contro del Cielo, si fossero ritirati nei corpi degli animali, e che perciò s'adoravano. E indubbitato, che l'oppinione della trasmigrazione ebbe un gran corso in Egitto, e contribuì non poco a stabilire l'Idolatria, che ha per oggetto il culto degli animali.

I Fenici, al parer d'Eusebio, adorarono altresì da principio il Sole, e la Luna. Platone non dubita, che tra i Greci medesimi il Sole, la Luna, gli Astri, il Cielo, e la Terra non fossero le più antiche Divinità non conoscendosi nel principio i nomi di Saturno, di Giove, ne degli altri Dei, che addivennero di poi cotanto celebri: ne pensavasi ad erger loro Altari, ne a costruire a i medeſimi superbi Adoratori, o ver ad alzare a essi le Statue in un tempo, che la pittura, la scultura, e l'architettura non erano per anche conosciute.

Ragione Lattanzio intorno a ciò in una probabilissima maniera. I primi uomini, dic'egli, che viveano in una foggia aspra, e selvaggia, senza Capo, e senza guida, concepirono una sì alta stima, ed ebbero cotanto viva gratitudine verso coloro, che si posero alla lor testa, e ne insegnarono una vita più dolce, e più umana, che diedero loro il nome di Dei, e reeero ai medesimi gli onori supremi; o penetrati di stima, e d'ammirazione verso del loro merito; o stimolati da uno spirito d'adulazione; o portati da una giusta, ma eccessiva riconoſcenza.

E siccome quei Re fur compiantissimi dopo esser morti, si pensò per consolarsi a farne statue, e ritratti, che gli rappresentassero, e che perpetuar potessero la rimembranza delle loro persone.

Si passò anche più oltre: La tenerezza che si nutrì verso di loro, fecesì che s'adorassero: L'interesse si frammischiò nel culto, volendosi con questo mezzo animare i lor Successori a imitarne la Virtù e la dolcezza nel Governo. Quindi a poco a poco la Superstizione, e l'Idolatria si dilatarono nel Mondo, inspirando ogn'uno a i suoi figliuoli il rispetto, e la stima, che aveva verso dei suoi Principi antichi.

Vi furono Divinità comuni a quasi tutti i popoli; e furqueste i primi fondatori, e i primi Principi delle gran Nazioni, che pel mezzo delle lor colonie portarono la Religione in diverse Provincie.

Altre furon ristrette in un solo paese, in una Città, in un'Isola. Così gli Egizzi adorarono Iside; I Mori, Juba; i Macedoni, Cabira; i Cartaginesi, Urano, o il Cielo; i Latini, Fauno; i Sabini, Sanco, i Romani, Romulo; adorò Atene Minerva: Sammo, Giunone; Paffo, Venere, Lemno, Vulcano; Nasso, Bacco; Delfo, Apollo.

La tenerezza dei figliuoli verso dei lor genitori contribuì non poco all'ingrandimento della Idolatria, Libero, Pane, Mercurio, Apollo sono i primi Autori del culto, che si rendette a Giove lor padre.

Ordina Enea alle sue truppe d'offerire a Giove le libazioni, e al suo padre Anchise le suppliche;

Nunc pateras libate Jovi, precibusque vocate Anchisen Genitorem .

E a lui promette Templi, e l'invoca contro la tempesta, e i venti contrari.

Cicerone nel Libro che scrisse per consolarsi della morte della sua figliuola Tulliola, dichiara candidamente la resoluzione da lui presa di rendere alla medesima gli onori divini: mentre in fine, dic'egli, giacché noi vediamo sì gran numero d'uomini, e di donne annoverrate tra gli Dii, e che i loro augusti Tempi sono esposti alla nostra venerazione nelle Città, e alla campagna, arrendiamoci a i saggi esempli di sì grand'uomini, allo spirito, alle leggi, allo stabilimento, e alla sapienza de quali noi dobbiamo tutto quanto abbiamo di meglio regolato nel nostro vivere.

E se giammai si dovettero rendere ad alcuna persona gli onori supremi, certò si e, che la mia figlia ha tutto il merito d'essere preferita: Se
convenne elevare al Cielo i figliuoli di Cadmo, di Anfitrione, o di Tindaro, perché non renderemo noi a Tulliola onori consimili? Io non lascierò assolutamente di farlo: Sì, io vi collocherò tra gli Dei, e renderevi farò gli onori divini, come ad una Dea, da tutti gli uomini, e con l'approvazione medeſima degli Dii immortali, com' essendo già ammessa nella loro società nel Cielo, e come essendo stata la più saggia, e la migliore di tutte le persone.

Da tutto questo ragionamento è agevole il concludere, che l'Autore della Sapienza non ha detto cosa, che verissima non sia, qualor riferi all'amor'eccessivo d'un padre verso del proprio figlio una delle prime sorgenti della Idolatria; e che ne viene temerariamente tacciato intorno a ciò di falsità, o di menzogna.

Egli punto non nega non esservi altre cagioni della Idolatria, anzi dimostralo in una maniera assai formale, quando descrive il culto, che i Cananei, e gli Egizi rendevano agli astri, agli elementi, e agli animali. In oltre egli non s'é impegnato di parlare di tutti i principi dell'Idolatria, essendo ciò dal suo argomento lontano: trattavasi bensì di mostrare il ridicolo della Idolatria, e la follia degl'Idolatri; e per tal'effetto dissene a bastanza.

E' inescusabile l'Idolatria in qualunque senso, che prendasi, e da qualsivoglia banda che si riguardi.

E farà sempre il maggior vituperio dello spirito, e del cuor mano, d'aver trasferito alla creatura l'onore unicamente al Creatore dovuto, e di non aver udita la voce di tutti gli Enti creati, ch'esclamano: Egli ci ha formati, e non noi abbiam creati noi stessi; Ipſe fecit nos, non ipsi nos: d'essere stato sordo alla voce del proprio suo cuore, che dicegli esser Dio la somma Perfezione; finalmente d'aver chiusi gli occhi alla luce naturale, che l'insegna non potersi dare, che un solo Dio eterno, immutabile, infinito in tutte le sue perfezioni, increato, immortale; e che ne l'uomo, né la bestia, né quanto mai v'è di creato, non può in verun modo meritare in questo senso il nome di Dio, né gli onori Divini.


(Lucca anno 1780, Dissertazione a cura del Rev. Padre D. Agostino Calmet.)

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