usi e costumi - giorni natalizi - Luigi Albano

LUIGI
LUIGI
Vai ai contenuti
GIORNI NATALIZI
USO E COSTUMI DI ALTRI TEMPI
L'anno ha giorni fasti e giorni nefasti, secondo gli avvenimenti storici che i giorni anniversari ricordano, secondo i riti religiosi che si distribuiscono nei singoli giorni dell'anno, secondo le varie fasi della luna e la varia congiunzione delle stelle.

Dopo che il giorno di venerdì, che una volta onorava Venere ed era fortunato, venne a ricordare la passione di Cristo, tutto ciò che si iniziava di venerdì era male, e però si considera come disgraziato anche il fanciullo che nasce di venerdì.
Così si credette nel medio evo che chi si sposava di martedì, ossia nel giorno di Marte, Dio della guerra, avrebbe litigato con la moglie. Si sa che il re Filippo II di Spagna volle sposarsi per l'appunto di martedì, per levare la credenza superstiziosa; ma il popolo non si persuase quando udì il caso di Don Carlo, che pareva punir Filippo di non aver dato retta all'avviso superstizioso.

A Venezia si crede che chi nasce di venerdì muoia presto; se non muore presto, non potrà pigliar moglie; se piglia moglie, non avrà figli.

A Rovigo si dice, invece, forse per la reminiscenza pagana della Dea d'amore, che chi nasce di venerdì nasce senza fiele. Non è di buon augurio il nascere il di 13 del mese, perchè il numero 13 rappresenta il numero della morte, dopo che Giuda, il tredicesimo conviva, col tradire il Cristo, gli preparò la morte. Non è bene neppure il nascere quando non c'è la luna.

Chi nasce il giorno di San Silvestro, ch'è l'ultimo dell' anno, arriverà sempre ultimo. Ed io sarei infinito se volessi sopra la guida dei numerosi trattati medioevali di astrologia indicare i giorni felici e i giorni infelici per i nascimenti e gli oroscopi relativi.

Ma i giorni natalizi, per eccellenza, sono per l'uomo quegli stessi che si considerano quali giorni natalizi del sole, che combinano con le feste fanciullesche del Natale, del primo dell'anno, dell'Epifania, del Carnevale, di San Giuseppe, della Domenica delle Palme, della Pasqua di risurrezione,  dell'Ascensione, della Pentecoste e di San Giovanni.

Finché il sole sale, finché i giorni s'allungano, esso apparve nascere, e i fanciulli, nel festeggiarne il nascimento, festeggiano pure sé stessi. Tutte le cerimonie festive che accompagnano il crescere del fanciullo fino ai sette anni in quasi tutti i paesi sono feste natalizie; cosi nelle cerimonie nuziali e negli auguri che si fanno per ottenere una buona annata agricola.

Gli anfichi Romani celebravano le feste natalizie tre giorni prima di noi, nel primo giorno del solstizio d'inverno, e lo chiamavano perciò il giorno natalizio dell'invitto sole (dies nalalis solis invidi); noi abbiamo, invece, posposta di tre giorni la medesima festa, come posponemmo di tre giorni la festa del solstizio d'estate, la quale celebriamo, invece che il 21, il 24 di giugno, coi fuochi detti di San Giovanni.

E diciamo di tre giorni, non di quattro, perchè la vera festa del Natale è la vigilia del 25 dicembre, nella quale il bambino celeste rinasce, e va intorno, di casa in casa, dispensando le sue grazie.

Ed è nella sera del 24 dicembre che a Boitzenburg, nell'Ultermark, il popolo assiste ad una finta battaglia simbolica fra una donna che rappresenta la stagione invernale ed un'altra che raffigura l'estate.

Alcune altre feste natalizie furono, invece, trasferite al primo dell'anno ed all' Epifania.

Noi sappiamo come i Romani usassero festeggiare solennemente le calende di gennaio, recando intorno le cosi dette strenne, accompagnate da un ramoscello augurale di verbena; onde leggiamo presso Svetonio, nella vita di Caligola, come questo imperatore, vago delle strenne, soleva passare le calende di gennaio nel vestibolo, « ad captandas stipes ».

Ma la Chiesa cristiana non volle consacrare quel giorno, e condannò anzi nel concilio di Auxerre dell'anno 613, come diabolico l'uso di quelle strenne.

Da un libretto del Markewic' (Kiew, 1860) rileviamo che nella Piccola Russia i fanciulli, il primo giorno dell'anno, spandono grano, augurando un anno felice. Nella Piccola Russia, per la festa del nuovo anno, si ammonticchia del grano sopra una tavola e si pone nel mezzo un largo pasticcio. Il padre si siede al di là di esso, e domanda ai fanciulli se essi lo vedono; « Non possiamo vederti, » [essi rispondono, allora il padre argomenta che il grano crescerà tanto ne' campi da rendere invisibili i fanciulli, quando, nella stagione calda, si muoveranno a traverso i campi.

Il primo giorno dell'anno, scrive il Ralston, essendo consacrato alla memoria di San Basilio il Grande, la vigilia dell'anno nuovo è detta vigilia di Basilio.

In un canto piccolo russo vien detto che Ma (Elia) arriva il giorno di Basilio: egli porta una frusta di ferro (simbolo del fulmine di Perun, il Dio solare e tonante slavo, di cui il cristiano Elia prese il posto); egli s'indugia qua e là, intanto che il grano cresce.

Le feste del primo dell'anno si combinano quasi dappertutto con quelle del Natale.

Il Ralston osserva che i Kolyadiki (i quali rispondono ai Noèls francesi) si cantano specialmente alla vigilia di Natale, ma che la festa stessa di Natale si protrae fino all'Epifania; cosi i nostri fanciulli giocano col presepio o con la capannuccia fino al giorno in cui rappresentano l'arrivo de' tre Re Magi alla capanna di Betlemme per adorare il Salvatore.

La slava Kolyada, invece del sole fanciullo, del Cristo bambino, rappresentava la nuova stagione luminosa, in foggia di una fanciulla vestita di bianco.

Come i maggiaiuoli toscani, francesi e tedeschi, vanno in giro col maggio fiorito per averne regali, come al primo dell'anno si domandano e si ricevono regali o strenne, come finalmente in Toscana usasi il regalo pel Natale, regalo a cui si dà il nome di ceppo, perchè usa, in reminiscenza dell'albero natalizio, mettere per Natale sul focolare un enorme ceppo, gli slavi cantori di Kolyadiki o canti natalizi della Kolyada, vanno intorno chiedendo regali.

Fuori della Russia, i canti di Natale hanno specialmente rappresentato il nascimento del bambino Gesù.

Assai diffusa nell'alta Italia è una specie di ninna nanna che si canta al bambino Gesù, dai fanciulli raccolti presso il Presepio.

La versione italo-bergamasca che ne pubblicò il Bolza è forse la più completa:

Dormi, dormi, o bel bambin, Re divin.
Dormi, dormi, o fantolin
- Fa la nanna, o caro figlio, Re del Ciel,
Tanto bel, grazioso giglio.
Chiudi i lumi, o mio tesor,
Dolce amor,
Di quest'alma, almo Signor;
Fa la nanna, o regio infante,
Sopra il fien,
Caro ben, celeste amante,
Perchè piangi, o bambinell
Forse il giel
Ti dà noia, o l'asineli?
Fa la nanna, o paradiso
Del mio cor,
Redentor, ti bacio il viso.

Si usa pure tra i fanciulli bergamaschi, nel Natale, far questo giuoco: l'uno fa il gallo, un altro il bove, un terzo la pecora, un quarto l'asino. Il primo dice: è nato Gesù; il secondo: indóvaì (dove?); il terzo: a Betlem! a Betlem!; il quarto: andém, andém, andém ciascuno imitando, nel proferir tali parole, la voce dell'animale che rappresenta.

Parecchie ninne-nanne siciliane ricordano Gesù bambino che nasce povero e freddoloso nella notte di Natale; il Bambino è chiamato Gesuzzu bieddu, Gesù picciriddu.

In una ninna-nanna sarda, il letto del bambino appare guardato dalla Madonna, da quattro Angeli e dallo Spirito Santo.

In Sardegna corre questo proverbio: Qui naschet sa nocte de Nádale bardiat sepie domus de su Bighinadu, (Chi nasce la notte di Natale guarda dalle disgrazie sette case del vicinato).

In Ispagna chiamano noche buena la notte di' Natale. Sotto il titolo di Noche buena trovansi nella raccolta del Caballero riuniti parecchi canti andalusi del Natale, in altro canto andaluso del Natale, gli Angeli danno avviso ai pastori che Gesù è nato; il pastore Biagio gli dà una pelle di montone, perchè se ne ricopra; il pastore Nicola la sua zampogna, perchè quando Gesù sia fatto grandicello, possa con essa suonare.

Ma meglio che ogni altra cosa dare il cuore. Tommaso considera la nascita di Gesù come un augurio di grande abbondanza, la Vergine dispensa a que' buoni pastori le sue grazie.

In altro canto andaluso, una zingara predice alla Vergine la fuga in Egitto e la futura passione di Cristo.

Così le graziosissime ninne-nanne andaluse paragonano spesso il bambino che si culla al Bambino Gesù.

Di Clodoveo si narra che il giorno di Natale sia stato battezzato, e della vasca del Battistero di Embrun che, per volere del cielo, una volta all'anno, empivasi da sè il giorno di Natale, giorno di redenzione.

Il Chèruel nel Dictionnaire des Institutions el moeurs de la France, ci offre qualche ragguaglio sopra gli antichi usi francesi del Natale.

Nel tredicesimo secolo, dice Sainte-Palaye, per le feste di Natale, si regalavano agli amici de' pasticci chiamati nieules, ed un pollo arrosto.

Si cantavano canzoni dette Noèls, nelle quali la nascita del Cristo, l'adorazione dei Magi e dei pastori erano celebrate in un linguaggio molto ingenuo. Ogni provincia aveva i suoi Noèls, e quelli di La Monnoie, in dialetto borgognone, hanno molto credito.

Il ceppo di Natale o Tréfoir dava occasione ad una festa di famiglia; invocavasi la benedizione del cielo sopra la casa.

La distribuzione del pain de Calandre aveva lo stesso scopo. Questa festa indicava cosi bene l'allegrezza universale per l'anniversario della rigenerazione del mondo per la nascita del Cristo (e dell'anno nuovo), che la parola Noèl divenne sinonimo di festa (come in Toscana il nome di Pasqua, che significò semplicemente festa).

Alla vigilia di Natale cuocevasi pure un grosso pane (il panettone dei Milanesi), che chiamavasi pain de Calandre.

Se ne tagliava un piccolo pezzo, sopra il quale (come si usa in Russia per i pani benedetti in chiesa), e specialmente poi per il pane dell'ospitalità col sale, che si offre pure nel Natale, si facevano con un coltello tre o quattro croci, e lo si conservava col pretesto che esso aveva la virtù di guarire da molti mali; il resto del panettone distribuivasi fra tutta la famiglia.

Rammentiamo qui ancora una festa che celebravasi in Bretagna dai fanciulli verso il fine dell'autunno, ossia verso il Natale.

La festa si dice: « dei piccoli pastori. » I parenti, secondo il Villemarqué, editore dei Canti Popolari della Bretagna, conducono i loro bambini de' due sessi, dai nove ai dodici anni, in una landa che serve ai pascoli.  Ciascuno porta seco burro, vasi di latte, frutta, pasticcini, ghiottonerie da bambini; si stende una tovaglia bianca, i fanciulli si siedono in giro e mangiano. Terminato il fanciullesco banchetto, un vecchio si leva a cantare un canto morale, attribuito a Sant'Hervè, protettore de' pastori e cantanti brettoni. Quindi i fanciulli danzano fino al tramonto innanzi ai loro parenti, coi quali fanno ritorno, cantando l'Hollaika o l'appello de' pastori; il nome deriva, invero, dal grido Hollaika, che i pastorelli brettoni si lanciano tre volte d'una all'altra montagna, dopo essersi arrampicati sopra la cima d'un albero.

In Inghilterra, la vigilia di Natale, si ornano le case di agrifoglio, al quale, come al ginepro che si mette pel Natale nelle stalle italiane, si attribuisce la virtù di cacciare le streghe; i servitori e le fantescne si mettono pure in quel giorno nella stanza del vischio, sotto il quale le fanciulle che desiderano aver marito entro l'anno, devono lasciarsi baciare, per segno di buon augurio, da qualsiasi uomo.

Si mangiano pure in Inghilterra per Natale certi pasticci sostanziosi, detti Christmas-pyes, e certe focaccie {Cristmas-batch) che i fornai regalano alle loro pratiche, come i fornai lombardi regalano pel Natale il panettone e i fornai piemontesi per l'Epifania la focaccia con le due fave, maschio e femmina, simboliche della generazione.

Le famiglie si scambiano numerosi regali pel Natale; una volta ne riceveva anche il Re.

Sotto Carlo I, si recava processionalmente al re ed alla regina un ramo di biancospino di Glastonbury, che, secondo la credenza popolare, germoglia il giorno di Natale e compie la sua fioritura a Pasqua.  La tradizione vuole che il biancospino di Glastonbury sia un germoglio del bastone che Giuseppe d'Arimatea, con le sue proprie mani, piantò a terra, e che vi prese tosto radice, e vi si ornò di fronde e di fiori bianchi.

Il popolo inglese ha tanta fede nell'infallibilità del biancospino, è tanto persuaso che esso è il nunzio infallibile del Natale, che a Quainton, nel Buckinghamshire, avendo già ritardato di dieci giorni la sua fioritura, più tosto che ammettere la possibilità che il biancospino si fosse sbagliato, preferì ritardare fino al 5 gennaio, ossia fino alla vigilia dell'Epifania, la festa del Natale.

Sappiamo, del resto, che anche i Greci festeggiavano il 6 gennaio il loro Natale, considerando come natalizio il giorno del battesimo, che si faceva coincidere con l'Epifania.

Nell'America del Nord si narra ai fanciulli, di un nano che arriva con la neve, e, pel camino, discende sul focolare, come il nostro spirito folletto e la nostra befana, e porta ai buoni fanciulli i regali desiderati; il nano della tradizione americana è il bambino Gesù che regala, i nostri fanciulli buoni.

Ma le tradizioni e le usanze più numerose e più singolari relative al giorno di Natale son quelle della Germania, e più ancora quelle della Scandinavia.

L'opera del Reinsberg, che descrive le varie feste dell'anno, contiene copiose notizie relative al Natale germanico e svedese; lo stesso autore ha poi pubblicato uno studio speciale molto curioso sopra il Natale in Danimarca, del quale nel primo fascicolo del settimo anno della Rivista Europea fu pubblicata una versione italiana del signor Mattia Di Martino.

Da questo studio, si rileva che il Natale, più ancora che dai fanciulli, è desiderato in Danimarca dai garzoni e dalle fanciulle, che, con ogni maniera di giuochi, pigliano in quel giorno l'oroscopo per sapere qual fortuna avranno ne' loro amori, nelle loro nozze. Suoni, canti, balli e banchetti si succedono dal 25 dicembre fino al 13 di gennaio, o al giorno di San Canuto, del quale dice va si ch' ei dava un calcio al Natale.

Ai fanciulli ed ai servi si distribuisce nel giorno di Natale una grossa focaccia (Sigte-Kage), come si pratica in Piemonte ed in alcune parti della Francia nel giorno dell'Epifania.

Dal Natale poi i Danesi (come i Tedeschi e gli Svedesi) prendono ogni maniera di pronostici. Cosi, scrive il Reinsberg, si ha cura, specialmente nel Jutland, di non toccare dal Natale al capo d'anno alcuna cosa che giri, per esempio un filatoio, un trivello, perchè s'ha paura di non avere più fortuna con le piccole anitre e con le oche.

Per una simile credenza, una volta una contadina, presa da spavento, gridava ad una serva che voleva filare nella sera dell'Epifania: « Per amore di Dio, non filare ora. Io ho una sola vacca e non voglio perderla ».

I vitelli, figliati nel Natale, si hanno come i migliori per allevarli; e un proverbio dice: « I vitelli del Natale e i porcelli di Pasqua fanno il contadino ricco e savio ».

Anche generalmente si crede che nella notte del Natale, a mezzanotte, l'animale nella stalla si alzi; e che i primi dodici giorni dopo Natale, il giorno venticinque non si conta, indichino il tempo dell'anno seguente.

Come si dice che la buona giornata si scorge dall'alba, cosi dal Natale, ossia dal primo giorno natalizio dell'anno solare, e dall'anno cristiano si cava l'oroscopo per tutto l'anno.

Così dal giorno del nascimento del Bambino si vollero sempre levare indizi per sapere quale fortuna sia riserbata nella vita.

E come le feste natalizie dell'anno si rinnovano più volte da Natale a San Giovanni, cosi nella vita dei figli, dalla loro nascita fino al loro matrimonio, si coglie ogni occasione per far loro festa, senza contar poi l'anniversario della loro nascita ch'è veraramente il giorno sacro e solenne delle famiglie.

De' Gnostici, Porfirio, nella vita di Plotino, scriveva che, nel giorno della Passione, solevano ritrovarsi con fanciulle, fossero pure figlie o sorelle, e compiuti i sacri riti, spegnere i lumi ed accoppiarsi con esse; i figli nati da tali nefandi incesti svenavano, ed il sangue dei bambini svenati raccoglievano in fiale; i corpi bruciavano, le ceneri mescolavano col sangue; con tal miscuglio credevano allontanare i demonii.

Presso Godelman, narrasi di due streghe che facevano cuocere un bambino neonato, per produrre un ghiaccio immenso che distruggesse tutte le biade; come la nascita del fanciullo, del nuovo sole, di Gesù bambino, annunzia un anno fecondo, cosi la morte del bambino deve produrre l'effetto contrario; perciò le streghe si servono de' morti bambini per i loro unguenti.

Una strega, presso lo Sprenger, fa le seguenti rivelazioni :« Noi tendiamo insidie specialmente ai bambini non ancora battezzati, e, tra i battezzati, a quelli che non portano, sopra di sè alcun segno della croce, li uccidiamo presso i loro stessi parenti che credono talora di averli soffocati e li leviamo di nascosto dalle tombe, li mettiamo in caldaia fino a che staccandosi le ossa, tutta la carne diviene una broda.

Con la parte più solida ci fabbrichiamo un unguento atto a farci conseguire i nostri desiderii; con la parte più liquida riempiamo un fiasco od un vaso; chi ne beve, apprende i nostri segreti. »

Dalle Sacre Rappresentazioni medioevali, rileviamo che nel medio evo era diffusa la credenza che col sangue di un fanciullo si guarissero i re dalla lebbra, ossia dalla vecchiaia, la malattia per la quale non vi sono rimedii, altro che il ringiovanirsi.

Degli antichi sacrifica dei fanciulli, per non parlare de' Messicani e di altri popoli selvaggi. Del sacrificio dei fanciulli Cartaginesi ci parla Diodoro Siculo. Il Lioy scrive ancora: « All'epoca della terribile Black-war, si racconta che le donne di Queensland, fuggendo coi neonati dai
coloni europei, divorassero la loro prole per riprendere, dicavano, le forze perdute nel procrearla schiava e per riprodurla in tempi meno calamitosi.

I Lacedemoni non uccide vano i mostri, gli storpii, i deformi? Gli abitanti di Madagascarre non danno a morte i bambini che nascono in giorni nefasti; e in alcune provincie cinesi, non sono destinati a perire i neonati che, nascendo, siano cagione alla madre di morte o di grave malattia?

In molti luoghi, pei cristiani, si credette poi scusabile l'infanticidio, finché il fanciullo non aveva ancora ricevuto, alcun nutrimento ed il battesimo: Nella relazione di un capitano spagnuolo della Conquista del Perù, leggiamo che vi si sacrificavano ogni mese le cose più care.

Dei selvaggi Caraibi raccontavasi che rapivano donne per ottenerne figliuoli, i quali mangiavano, e se pigliavano fanciulli forestieri, prima di mangiarli, li castravano per ingrassarli.

Nella relazione di Alvaro Nunez, leggiamo di altri selvaggi, i Jaguazes: Questo costume hanno costoro di ammazzare anco i medesimi figliuoli per segni che fanno, e le figliuole femmine, nascendo, le lasciano mangiare ai cani, e le gettano per que' luoghi, e la ragione perchè lo fanno è che dicono che tutti que' del paese sono lor nemici e hanno conesso loro grandissima guerra; onde se a caso maritassero le loro figliuole moltiplicherebbero tanto i loro nemici che li soggiogheriano. Noi altri li domandammo perchè non le maritavano con loro stessi e risposero che era cosa brutta il maritarle co' loro parenti e cho era molto meglio ucciderle che darle per mogli a parenti e nemici loro.

Mi compiaccio nel pensiero che tali usi barbari sono quasi interamente scomparsi anche dalle popolazioni più selvaggie, e che il Cristianesimo, creando un'aureola intorno alla madre di Gesù, abbia pure accresciuta in ogni famiglia cristiana l'autorità, e, direi quasi, santità materna, dalla quale la vita del fanciullo è senza dubbio assai meglio custodita, che dalla rigida e spesso indifferente autorità del padre, più padrone che guardiano de' propri figli.

Ma, più che in ogni altro paese, i fanciulli sono, pur sempre, festeggiati nel remoto e non cristiano Giappone, che Rutherford Alcock chiamava perciò « il paradiso de' fanciulli ».

Questi non vengono, generalmente, slattati; poppano finché vi trovano piacere, finché non si disgustano da sé stessi, finché non preferiscono essi stessi altro nutrimento.

Non sono mai fasciati; possono, sbattersi in libertà.

Verso i sette anni imparano l'alfabeto a mo' di giuoco; e tutta la vita fanciullesca è un giuoco; quasi ogni soglia delle case giapponesi appare una mostra di giocattoli. Nell'anno si celebrano due grandi feste in onore de' fanciulli, al terzo mese in onore delle femmine, al quinto mese in onore de' maschi.

Per la festa delle bambine vi è una fiera di bambole, simbolo della loro futura maternità; per quella de' bambini, sì sospende a un albero di bambù un pesce di carta, un carpione, il quale, nuotando contro correnti, simboleggia la vigoria che si desidera ai maschi per superare gli ostacoli multiformi della vita.

Sono finalmente ancora feste natalizie quelle cerimonie che nel Giappone (come nella Cina e nell'India) si celebrano quando si dà un nome al bambino; nel Giappone si festeggia ancora, quando la figlia incomincia a portare i capelli lunghi, quando a sette anni si cinge la cintura, quando a tredici anni si mette della lacca sui denti, e quando il figlio, arrivato all'età di cinque anni, per la prima volta entra nel kakama, larghe brache portate dai samurai.

Nell'India dei Ragiaputri la festa dei fanciulli si celebra nel settimo giorno del mese ciaitra (marzo aprile), in onore della Venere indiana, alla quale, in tale occasione, si fanno speciali offerte.


Milano anno 1878 - A. DE GUBERNATIS

(in ortografia originale)

© Luigi Albano
© Luigi Albano 2017
+63 905 340 0173
Torna ai contenuti