Mosè

LUIGI
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Mosè

Luigi Albano
Pubblicato da Cav. Luigi Albano in la storia biblica · Venerdì 27 Apr 2018
Mosè scomparve a un dipresso come Romolo o Semiramide: il libro dei Numeri nulla dice della sua morte; ma nel Deuteronomio, compilato qualche secolo dopo, si racconta che prima di morire Dio lo condusse sul monte Abarim donde gli mostrò la terra di Canaan; che ivi il profeta intuonò un cantico di benedizioni al popolo, e che poi morì e fu sepolto da Dio stesso in luogo incognito, affinché gli Ebrei non lo adorassero.
Una leggenda rabbinica passata anche nei libri sacri dei Cristiani, soggiunge che nacque una disputa fra l'angelo Michele e il Diavolo intorno alla sepoltura di Mosè; ma che il secondo fu costretto a cedere.
Mosè fu incontrastabilmente uno dei più grandi uomini, e dovremmo forse ammirarlo di più se le sue gesta ci fossero conosciute con maggiore precisione storica.
La sola impresa di liberare il suo popolo dalla servitù egiziana debba essergli costata delle difficoltà straordinarie e la sua marcia intorno alla penisola del Sinai, framezzo un'orrida solitudine, attraverso valli, monti, precipizi, che ad ogni passo gli presentavano un ostacolo, dimostra in lui un senno, una arditezza, una perseveranza che ha poche pari, ed è piccola cosa al suo confronto la tanto celebre ritirata dei diecimila.
Forse egli per aiutarsi contro le sempre rinascenti difficoltà, contro la mormorazione e la riluttanza o lo scoraggiamento del popolo, fu costretto più di una volta a far intervenire la divinità, ma giammai una pia finzione fu adoperata a più lodevole fine; e non era meno un saggio antivedimento quello di non parlare egli stesso al popolo, ma di far parlare o il fratello od altri dei principali è più eloquenti onde comunicare al popolo i decreti che egli diceva di avere ricevuto da Dio e quello ancora di non mostrarsi in pubblico se non con il volto velato facendo credere che dal suo volto raggiava una tal luce che avrebbe abbagliato gli occhi altrui, e che quella luce gli era stata comunicata dal suo contatto con la divinità.
Sopra un popolo superstizioso e barbaro ancora, onde operare con efficacia vi volevano mezzi che imponessero all'immaginazione.
La sua nazione era piccola, divisa da rivalità di tribù e di famiglia e andava a stanziare fra nazioni più numerose, meglio ordinate, di una stessa lingua e di differenti costumi, per cui ella correva pericolo di essere tosto o tardi assorbita dall'una o dall'altra.
Ma egli per tenerla unita e per conservarle il suo carattere nazionale, e con esso i germi della sua indipendenza e della sua forza, la vincolò con una religione e con riti e con leggi così saviamente concertate, che se in quanto a moralità e a giustizia erano superiori a tutte le altre, la loro solidità non aveva termini di paragone con nessuna; perché resistette contro ogni corruzione umana, e contro l'edacità del tempo che tutto distruggere dopo trenta secoli sopravvivono oggi ancora e si sono identificate e diventarono il perno del cristianesimo e dell'islamismo le cui credenze sono abbracciate da circa due terzi del genere umano.
Intanto che le religioni dei Persiani, degli Egiziani, dei Greci, dei Romani, o più scientifiche o più pompose, dopo tanta gloria, sono scomparse senza lasciar traccia di sé e che quella stessa dgli Indiani, malgrado il suo splendido apparato metafisico, simbolico, rituale e letterario è ridotta ad una lettera morta, ultimo retaggio di Barbari che non hanno più né nazionalità, né libertà, né avvenire.
Nei figli di Mosè si verificò quel proverbio così acconciamente espresso da Dante:

Rade volte discende per li rami
L'umana probitate perché vuole,
Colui che puote, che da lui si chiami.

Da Sefora l'Etiopessa ebbe due maschi, Mosè Gersam ed Eliezer, che spariscono nell'oscurità la più compiuta.
Di Eliezer e della sua discendenza non si parla, intanto che si hanno compiuti cataloghi della discendenza di Aronne e dei suoi figlioli.
Quanto a Gersam, sembra che venisse a contesa con gli Aronidi a cagione degli uffizi pontificali a cui egli forse pretendeva e che ne sia nato qualche scisma.
Imperocchè troviamo che durante il periodo dei Giudici, alcuni Daniti si stabilirono a Dan nell'estremità settentrionale della Palestina, vi fondarono un santuario al tutto indipendente da quello del tabernacolo, che si mantenne in venerazione fino alla caduta del regno d'Israele, e di cui fu sacerdote Jonatan figlio di Gersam figlio di Mosè che lo trasmise in linea ereditaria ai suoi discendenti fino al tempo della cattività.
È vero che nel testo ebraico in luogo di Gersam figlio di Mosè, come legge la Vulgata, vi è Gersam figlio di Menasse; ma i due nomi Mosè e Menassè sono in ebraico scritti colle medesime consonanti, e la n che vi è di più nel secondo, sta sospesa a modo di una lettera aggiunta (Mnssè), il che è notato anche dai Masoreti, onde pare che qualche antico grammatico mal soffrendo lo scandalo di un nipote di Mosè diventato capo di un culto scismatico, vi abbia di suo capriccio fatta quella correzione che cambia il nome di Mosè in quello di Manasse.
Neppure di Sefora non si ha più notizia e si ignora persino quali furono i motivi che, per cagion sua, Maria sorella di Mosè promosse una sedizione contro il fratello.
(tratto dal Compendio Biblico, 1851) - immagine di Raffaele Sanzio incisore, anno 1832.


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