Vademecum usi e costumi degli antichi Romani-la divisione del giorno - Luigi Albano

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La divisione del Giorno presso i Romani

La divisione del giorno in ore cominciò assai tardi presso i Romani, non essendo loro noto ne' primi secoli alcun mezzo per misurarle e distinguerle.

Che però altro non conoscevano nella giornata che la mattina e la sera, o sia il nascere e tramontare del sole, e poco appresso, vale a dire sul principio del quarto secolo, anche il mezzo giorno.

Il primo istrumento che ebbero i Romani per distinguere le ore, fu secondo Plinio (1) un quadrante, ovvero orologio solare, portato in Roma dalla Sicilia per M. Valerio Messala dopo la presa di Catania l'anno di Roma 477.

A questo ne sostituì uno più esatto Q, Marco Filippo, che fu Censore nell'anno 576.

Tal sorta di orologi serviva soltanto durante il giorno e quando era scoperto il sole.

Scipione Nasica l'anno di Roma 493 introdusse l'uso di un orologio d'acqua (2), che indicava le ore del giorno ugualmente che della notte.

Sì fatto orologio chiamavasi horologium hibernum, e fu talvolta denominato horologium nocturnum per opposizione al quadrante, che a nulla serviva di notte, e poco nell'inverno per le nuvole che di sovente ingombrano il cielo.

Con questo ajuto giunsero i Romani a dividere il giorno naturale in 24 ore, dodici delle quali assegnarono costantemente al giorno artificiale, e dodici alla notte, per modo che erano le une a vicenda or più ed ora più lunghe a tenore delle diverse stagioni.

Le dodici ore del giorno furono in seguito distribuite in 4 parti, ciascuna delle quali ne abbracciava tre; laonde vennero denominate prima, terza, sesta, nona dall'ora, onde ciascheduna prendeva cominciamento.

Per somigliante maniera le ore della notte divise furono in quattro vigilie di ugual durazione, distinte col nome di prima, seconda, terza, quarta vigilia derivato dalla milizia, nella quale un Soldato non durava regolarmente a fare la sentinella che lo spazio di 3 ore, dopo le quali era rilevato da un altro.

(tratto da un antico testo del 1816 di cui si sconosce sia l'autore che il titolo)

  1. Hist. nat. l. 7, c. 6o , dove cita Varrone.
  2. Consisteva questo in un vaso pieno d'acqua, dal quale passava la medesima per un piccolo foro in un bacino sottoposto, dove a misura che andava crescendo sollevava un pezzetto di sughero, che indicava le ore in differenti maniere. Sebbene la clepsyrdra fosse una specie d'orologio particolare per la sua configurazione, venne però adattato un tal nome a tutti gli orologi da acqua, ed in appresso a quelli ancora da polvére.
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