Vademecum usi e costumi degli antichi Romani - della divisione dell'anno - Luigi Albano

LUIGI
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Della divisione dell'anno de' Romani

L'anno de' Romani conteneva sotto Romolo soli 10 mesi, e fu quindi da Numa successore di lui diviso in mesi 12 (1), il primo de'quali fu detto Januarius dal Dio Giano (2), a cui era specialmente consacrato l'anno siccone a Dio del tempo.

Il secondo fu chiamato Februarius dalla parola februa, che significava una specie di sacrifizi i quali in tal mese soleano celebrarsi per i defunti (3): il terzo Martius da Marte creduto padre di Romolo fondatore di Roma: il quarto Aprilis dal nome di Venere che fu riguardata come madre di Enea, dal quale Romolo traeva origine; imperocchè la greca parola Aphros significa spuma, da cui dicesi che Venere nata sia; il quinto Majus dal vocabolo Majores (4), essendo stato così denominato in onore de' Maggiori, o sia de' Vecchi; il sesto Junius dal vocabolo Juniores, avendo preso il nome da' giovani; il settimo Quintilis cioè Quinto, numerandosi i mesi secondo l'anno di Romolo, che cominciava da Marzo, questo mese fu poi detto Julius da Giulio Cesare; l'ottavo Sextilis ovvero Sesto, e quindi Augustus da Ottaviano Augusto.

Gli ultimi quattro prendevano il nome dal numero, siccome lo mantengono tuttavia.

I mesi aggiunti da Numa all'anno di Romolo furono i primi due, cioè Gennajo e Febbrajo (5).

Tra i mesi di Romolo Marzo, Maggio, Quintile e Ottobre contenevano 31 giorni per ciascheduno, gli altri sei 30 solamente, formando tutti insieme un anno di giorni 304.

Numa ritenne il numero de' giorni stessi assegnati da Romolo ai suddetti quattro mesi, e sottraendone uno ai sei che restavano, ne ristrinse la durata a dì 29.

Gennajo comprendeva 28 giorni ed altrettanti Febbrajò, con che estese egli l'anno alla somma di giorni 354, computandolo a norma del tempo, al quale secondo lui corrispondeva il corso di 12 lune.

Accrebbe poscia di un giorno il mese di Gennajo, onde ne risultò l'anno di 355 giorni.

All'aumento di 11 dì e circa 6 ore, che sopra l'anno lunare importava il solare, supplì egli col mese detto intercalare, che di due in due anni inserivasi a Febbrajo dopo il giorno 23 con talche in un biennio abbracciasse 22 giorni, e nell'altro 23 a vicenda.

Ma un sì fatto rimedio non fu abbastanza efficace all'intento per l'arbitraria condotta de' Pontefici incaricati dell'ispezione dell'anno, i quali al mese intercalare aggiungevano un numero di giorni or minore, or maggiore di quello che era stato da Numa prescritto.

Un somigliante disordine fece sì, che a tempo di Giulio il principio dell'anno sbilanciasse di 67 dì.

Egli adunque determinò, che l'anno di Roma 708 fosse di giorni 445 affinchè i mesi ritornassero al loro luogo, e l'anno racchiudesse in avvenire 365 giorni e 6 ore: le quali poichè venivano a formare nello spazio di anni 4 un intero giorno, volle che questo si computasse di più di quattro in quattro anni dopo il 23 di febbraio.

Laonde l'anno a tal mese corrispondente appellossi Bissextilis, perchè in esso si numerava due volte il dì 23 di Febbrajo, o sia sesto avanti le calende di Marzo.

Fu questa la celebre correzione dell'anno nota sotto il nome di anno Giuliano, che venne poi ridotta a maggiore esattezza dal Papa Gregorio III e sortì la denominazione di anno Gregoriano, in cui per correggere l'inesatta supposizione che l'anno fosse di giorni 365 e ore 6, convenne nel 1582 sopprimere dieci giorni, salendo dal dì 4 d'ottobre al dì 15, e stabilire che ogni quaternario di secoli si lasciassero tre bisestili.

Quindi non furono tali il 1700, il 1800; non lo sarà nemmeno il 1900, ma bensì il 2000.

Anche una piccola correzione fu fatta all'anno lunare, la quale porta la diminuzione di un giorno ad ogni otto ternarj di secoli.

Ciaschedun mese, secondo l'istituzione degli antichi Romani si divide in calende, none e idi.

Le calende furono così dette dal Greco Kalo cioè voco, perchè il Pontefice convocando il popolo gli annunziava in tal giorno la luna nuova (6).

Le none presero il nome dalla loro situazione, perchè da queste fino agl'idi si contano 9 giorni, compreso il giorno delle none e degl'idi.

Gl' idi furono così denominati dal verbo iduare, che in lingua de' Toscani significava una volta dividere (7): perchè gl'idi dividono quasi il mese per metà.

Le calende sono il primo giorno di ciascun mese: le none il giorno settimo de' 4 mesi di Marzo, Maggio, Luglio e Ottobre, negli altri sono il giorno quinto.

Gl'idi sono il giorno decimoquinto de' suddetti quattro mesi, negli altri il giorno decimoterzo.

Il giorno delle calende, delle none e degl'idi si esprime in latino col sesto caso in questa maniera: Kalendis, nonis, idibus.

Gli altri giorni del mese sogliono computarsi dalla relazione che hanno col giorno delle none, degl'idi e delle calende susseguenti, compresovi il giorno stesso che si vuol indicare, e quello delle none, degl'idi o delle calende.

Per esempio dal giorno due di Gennajo fino alle none si contano 4 giorni: dunque il giorno due si esprimerà in tal maniera: nonas Januarii, o Januarias, cioè quarto ie ante nonas: e col tenore medesimo si procederà fino al giorno delle none.

Fra il giorno 6 di Gennajo e gl'idi ci passano 8 giorni; sicche il giorno 6 di Gennajo si dovrà esporre così: octavo idus Januarii, o Janarias, cioè die octavo anteidus; e la regola stessa di computare si terrà fino al degl'idi.

Fra il giorno 14 di Gennajo e le calende di Febbrajo frapposti sono 19 giorni: laonde il giorno 14 di Gennajo s'indicherà con queste parole: decimo nono Kalendas Februarii, o Februarias, cioè die decimo nono ante Kalendas: la qual regola di computare servirà fino al giorno delle calende di Febbrajo.

Dee notarsi in primo luogo che il giorno il quale precede immediatamente le none, gl'idi e le calende, d'uopo è sempre esprimerlo coll'avverbio pridie, vuol dire nel giorno precedente, nè sarà mai lecito il dire secundo nonas ec., perchè la parola secundus deriva dal verbo sequor, e nel caso nostro si tratta di tempo antecedente.

Per es. il giorno 4 di Gennajo s'indicherà in questa maniera: pridie nonas Januarias, cioè die ante nonas; il giorno 12 pridie idus Januarias; il giorno 31 pridie Kalendas Februarias.

Notisi in secondo luogo che il giorno, il quale succede immediatamente alle calende, alle none e agl'idi, suole comunemente esprimersi coll'avvero postridie, cioè il giorno dopo o seguente.

Per es. a indicare il giorno 2 di Gennajo si dirà postridie Kalendas Januarias, a indicare il giorno 6 postridie nonas, a indicare il giorno 14 postridie idus.

I giorni presso i Romani furono distinti in festi, profesti, intercisi, fasti, nefasti e ferie (8).

I giorni festi o sia festivi erano destinati al culto degli Dei ed alle opere di religione.

I profesti, o sia non festivi destinati erano al maneggio dei pubblici, e dei privati affari.

Gl'intercisi erano in parte festivi, ed in parte non festivi (9).

I fasti quegli erano, nei quali si tener giudizio, corrispondenti a quelli, che in oggi chiamansi giorni di udienza o di curia.

I nefasti erano giorni, nei quali lecito non era tener giudizio (10).

Le ferie erano giorni destinati a festa, o rito particolare di religione (11).

Avvertasi che i giorni festivi erano sempre ancora nefasti, laddove questi non erano sempre festivi.

(tratto da un antico testo del 1816 di cui si sconosce sia l'autore che il titolo)

  1. Liv. l. 1 ubi de Numa : Flor. l. 1, c. 2. Dell'anno de' Romani tratta eruditamente il Padre Everardo Audrich delle Scuole Pie in un opuscolo che ha per titolo: Institutiones Antiquariae ec. - ,
  2. Al Dio Giano principalmente erano consacrate le calende di Gennajo, sebbene si onorassero in esse anche gli altri Dei. Qvid. Fast. l. 1. Mox ego: cur quamvis aliorum numina placem, Jane, tibi primum thura merumque fero
  3. Ovid. Fast. l. 2 sul principio: Februa Romani dixere piamina patres ec. Circa l'etimologia degli altri mesi può vedersi l'istesso Ovidio ne' fasti.
  4. A tenore della prima divisione del popolo ec. secondo la quale apparteneva ai più provetti vegliare ai vantaggi pubblici col consiglio, ed a' giovani coll'opera e col maneggio dell'armi.
  5. Ovid.fast. l. 1. - At Numa nec Janum, nec avitas praeterit umbras Mensibus antiquis addidit ille duos. Cic. de Leg. lib. 2, cap. 21 Februario autem mense, qui tunc extremus anni mensis erat, (majores nostri) mortuis parentari voluerunt ec. Veteres autem, subdit Turbenus in notis ibid., extremo anni mense Diis Manibus parentare solebant, qui Februarius erat. Verum posteaquam secundus anni mensis factus est, obtinuit ut eodem tamenmense res divina eis fieret. V. Cic. opera, quae recensuit Isaacus Verburgius tom. 9. Dal suddetto passo di Cicerone pare potersi dedurre, che sotto Numa fosse l'ultimo dell'anno uno de' due mesi da lui aggiunti allo stesso; o per lo meno, che se, durante il di lui regno, ebbe Febbrajo il secondo luogo ne' mesi dell'anno, ciò non seguisse, che dopo essere stato già stabilito il costume di fare in tal mese i sacrificj a' defunti, del qual rito credesi istitutore il medesimo Numa. Del rimanente ci lasciano gli scrittori in dubbio intorno al tempo preciso, in cui il mese di Marzo, che in origine era il primo dell'anno ec, divenisse il terzo, per essergli stati premessi Gennajo e Febbrajo, facendo altri autore di una somigliante vicenda l'istesso Numa, altri il Re Tullo ed altri i Decemviri. Quel che sembra potersi affermare con fondamento si è che anche alquanti secoli dopo Numa, Gennajo fu il primo mese dell'anno, Marzo il secondo e Febbrajo l'ultimo. V. il Cantel. De Rom. Rep. parte 2 diss.V. sul principio.
  6. Come osserva il Nieup. sect. 4, cap. 4 secondo Varrone V. 4 , ovvero perchè il Pontefice, adunato il popolo nel Campidoglio, gli annunziava il giorno delle none, in cui gli abitanti della campagna dovevano portarsi in città, per intendere il tempo ed il tenore de' dì festivi e delle sacre cerimonie da celebrarsi ed osservarsi in tutto il mese.
  7. Nieup. nel cit. luogo .
  8. V. Mr. Dac. remarq. ec. sull'Ode 15, l. 2 d'Oraz. Ille et nefasto ec. Nè alla divisione da noi stabilita si oppone l'autorità di Macrobio, il quale lasciò scritto, che l'anno fu diviso da Numa semplicemente in giorni festi, profesti, ed intercisi; potendosi i nefasti riferire ai festi e i fasti ai profesti.
  9. Ovid. fast. lib. 1. - Nec toto perstare die sua jura putaris: Qui jam fastus erit, mane nefastus erat. Nam simul exta Deo data sunt, licet omnia fari, Verbaq. honoratus libera Praetor habet. Sul qual passo così scrive Antonio Costanzo secondo Varrone: Intercisi dies sunt per quos mane et vespere est nefas, medio tempore inter hostiam caesam et exta projecta fas .
  10. Nefastus fu anche preso dagli antichi per infausto, come dies ater, giorno di mal augurio: nel qual senso si usa da Orazio l. 2, Ode 15, siccome prova il Dacier ivi . Quali fossero dies atri, giorni infausti, e donde avesse origine questa superstizione tra i Romani, lo rapporta A. Gellio l. 5, cap. 17.
  11. Tra le ferie altre erano statae, cioè stabili o fisse, ed altre indictae o conceptivae, vale a dire incerte o mobili, le quali variavano quanto al tempo ad arbitrio del Magistrato, a cui si apparteneva intimarle . V. Mr. Dac. remarq. ec. sull' ep. 7, L. I d'Oraz. v. 76.
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