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La Leggenda di Cogne

Questa leggenda risale al 1800, già allora la valle di Cogne, attirava ogni anno centinaia di forestieri per le sue naturali bellezze.

Era il luogo preferito di Re Vittorio Emanuele II, grande amante della caccia, egli costruì un campo a Lanzon e acquistò la vecchia torre medievale che proteggeva il capoluogo.

Seguendo l'esempio del padre anche il figlio Umberto amava cacciare nella valle di Cogne, distribuendo i numerosi stambecchi che cacciava ai notabili del luogo.

Una monografia sugli stambecchi (sur les bouquetins) venne pubblicata ad Aosta nel 1850 dal reverendo prof. Basilio Guichardez, nativo del luogo, inspiratosi a una visita fatta il 14 luglio 1841 da sua Altezza Reale il Duca di Genova, al quale un cacciatore offrì allora uno stambecco vivo, che fu condotto e nutrito per del tempo alla Venaria Reale di Torino.

Secondo le più antiche tradizioni, la valle di Cogne sarebbe stata popolata da alcune famiglie venute dal versante meridionale delle Alpi Graie.

Per provare la dolcezza del clima di questa valle, si racconta che una vacca essendosi smarrita in un valloncello nascosto, venne ritrovata sanissima nella primavera seguente - in una foresta con un vitellino partorito in inverno - presso il villaggio di Valheureux-

Per lungo tempo gli abitanti di Cogne ebbero relazioni solo con gli abitanti del Canavese, loro paese originario, continuando a seppellire, nonostante la distanza, i loro morti nel cimitero di Pont (ora Pont Canavese).

Ci voleva almeno un giorno di viaggio per arrivare a Pont e quando si trasportavano i morti, il viaggio durava invece due giorni e a metà strada era stata prevista una casa per la sosta delle persone che trasportavanovle bare.

In inverno quando la neve rendeva le comunicazioni più difficili e il passaggio diveniva impossibile, presso la chiesa di Cogne esisteva un cimitero provvisorio ove venivano custoditi i morti sino alla primavera seguente ove venivano portati al cimitero di Pont.

In quel tempo la fede era viva, la tradizione locale racconta che in un non precisato anno a mezzanotte, durante la messa di Natale, nel villaggio dell'Ecloseur, si videro in una sola casa ben diciotto culle di fanciulli nati in quella notte e guardati da una sola donna, una figliolanza veramente miracolosa.

Dalla parte di Aosta, la valle di Cogne rimaneva allora chiusa per una fitta boscaglia, dove si rintanavano orsi e lupi e dove si incontravano anche molti serpenti, che divennero per tutta la valle un vero flagello.

Ma gli abitanti ne furono liberati per il miracoloso intervento di Sant'Orso (monaco e presbitero irlandese che visse in valle d'Aosta), il quale si recò a Cogne, ed ordino alle belve di ritirasi, esse obbedirono e scomparvero per sempre dalla valle.

Sembra tuttavia che gli orsi si siano rifugiati in un luogo non molto lontano, detto ancora "Les Ors".

Nelle leggende si trovano spesso santi che purgano un paese dalle bestie feroci o dai rettili velenosi e basterà citare fra gli altri, il famoso San Patrizio, che liberò per sempre il suolo irlandese da tali rettili (un miracolo simile si attribuisce nel Cosentino ad un eremita San Torello che avrebbe liberato quella valle dai lupi).

Gli abitanti di Cogne scesero un po per volta, dalle montagne verso la pianura e incominciarono a lavorare il fondo della valle.

Elessero sulla riva destra del torrente Lezardey (così detto dai Lézards o lucertole che vi abbondavano) un luogo adatto per costruirvi la Chiesa. ma le reliquie che vi furono trasportate in quella chiesa, non vollero rimanervi e si ritrovarono sulla riva opposta del torrente, dove sorse in seguito una nuova chiesa.

Riportate le reliquie alla chiesa primitiva, fecero di nuovo ritorno alla pietra sopra la quale volevano che si fondasse la nuova chiesa, per essere al riparo dalle inondazioni che invasero ben presto il Lezardey distruggendo la chiesa primitiva.

Con casi analoghi e miracolosi si potrebbe riempire un intero volume, molte immagini di santi e della Vergine Maria hanno lasciato la sede a loro destinata per scegliersene un altra.

Simili prodigi furono compiuti anche dal demonio che abitava gli antichi idoli a Roma, sotto il paganesimo, si racconta che gli idoli lasciavano spesso i loro templi per andare a cercare adoratori in altri luoghi.

Una statua di Cecere mutava spesso dimora come gli Dei di Lavinio che trasportati per ben due volte ad Alba e guardati a vista tornarono spontaneamente entrambe le volte al loro posto.

In quasi tutti gli idoli ritrovati si trova un anello fortemente ribadito, che serviva ad attaccarli, essi attribuivano tutto ciò allo spirito che chiamava l'anima degli idoli (Crf. Histoire de Satan par M. D'Elbe).

(tratta da uno scritto del Canonico Stefano Pietro Duc., pubblicata nell'anno 1893 da Forni Editore - Bologna -.)

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